martedì 30 marzo 2010

Grazie, ma non è finita qui


Nel pomeriggio sono passata dal mio carrozziere di fiducia per ritirare la mia auto che ho consegnato alle sue amorevoli cure dopo un anno e mezzo che giravo con una fiancata da non guardare. Ovviamente non era pronta ma ho avuto rassicurazioni sul fatto che per le 20 sarei tornata in possesso del mio cocchio. Così mi faccio accompagnare a casa e alle 19:30 esco per dedicarmi a questa passeggiata di mezz'ora alla volta della carrozzeria.
Mentre camminavo sul ponte del Po osservavo i miei passi e di sfuggita vedevo l'acqua verde-salvia che scorreva più in basso.
Provavo a stimare quanti passi avrei dovuto compiere per giungere alla mia meta e più pensavo alla distanza che dovevo ancora coprire, più questa diminuiva sotto il ritmo incalzante del mio camminare frettoloso.
Allora ho ripensato a questa splendida canzone, al ritornello che dice "poco a poco noi ti abbiamo dato ciò che hai sempre sognato, poco a poco i desideri della tua vita sono lentamente diminuiti" e al cammino che mi aspetta per poter dire un giorno di aver fatto qualcosa per diminuire i desideri della mia gente.
Little by little... poco a poco... senza fermarsi, continuando a camminare, a crescere, a fare, ad ascoltare ma non da sola. La canzone parla chiaro. NOI ti abbiamo dato ciò che sognavi...
Ecco perché oggi si ricomincia. Si ricomincia per ringraziare adeguatamente tutti quelli che mi hanno dato fiducia e mi hanno sostenuta, si ricomincia per non buttare nel cesso quanto di buono si è fatto e si ricomincia perché sono certa che poco a poco le cose possano cambiare se c'è qualcuno che vuole cambiarle.

venerdì 26 marzo 2010

Voto utile


In questi giorni, alcune persone mi hanno contattata via mail motivando la decisione di votarmi presa leggendo le pagine di questo blog.

Per prima cosa vorrei ringraziarli, non tanto per la preferenza che mi accorderanno ma per il fatto di avermelo voluto dire, di aver cercato un contatto con me, indipendentemente da quello che sarà il risultato di queste elezioni. Auspico che già da martedì, con queste persone, si possa intraprendere un percorso comune sul progetto politico che, in modo un po' inusuale, ho voluto illustrare in questo mese di post.

Una delle costanti (che ho ritrovato anche nelle mail arrivatemi) che da anni hanno reso faticose le poche vittorie della sinistra e brucianti le tante sconfitte è l'astensionismo.

Oggi non voglio dire perchè penso sia saggio votare SEL ma voglio piuttosto ricordare ai tanti che di votare proprio non hanno più voglia, il perchè votare "sinistra" sia di fondamentale importanza in questa tornata elettorale.

Veniamo da due anni di governo in cui il Parlamento è stato totalmente delegittimato. La funzione legislativa è passata nelle mani del Governo che attraverso decreti legge su cui viene chiesta la fiducia, ha impedito al Parlamento di "adoperarsi" quantomeno nella conversione degli stessi in leggi precludendo la possibilità di modifica in fase di dibattimento.

L'opposizione si è mostrata incapace di arginare l'operato della maggioranza e giace più o meno impotente in un limbo tra il "vorrei ma non posso" e il "non vorrei e non me lo sogno nemmeno di farlo".

L'unica "istituzione" che in qualche modo ha contenuto i danni che potenzialmente sarebbero potuti venire da una piena applicazione del programma di governo, è la conferenza Stato-Regioni.

Per sua sorte avversa, l'attuale maggioranza si trova a dover fare i conti con una "Presidenza Rossa" espressione del fatto che le Regioni italiane sono in prevalenza governate dal centro-sinistra.

Se pensiamo al ridimensionamento del "Piano-casa", all'opposizione al ritorno immediato al nucleare, non possiamo che ringraziare la divina provvidenza (o meglio l'elettorato di sinistra che alle passate regionali ha votato).

In questa fase, con due anni di governo da affrontare prima dell'anno "elettorale", se sfumasse questa situazione di "bilanciamento" tra le forze, non ci sarebbe più modo di contenere la deriva del Paese.

Per questo motivo non faccio un appello affinchè votiate me o chiunque sia candidato nelle vostre Regioni nelle liste del mio movimento-partito ma vi chiedo di votare per sostenere quantomeno il candidato Presidente di centro-sinistra.

Ve lo chiedo perché il voto utile non è quello dato a un partito piuttosto che a un altro ma è quello dato a un modo di coniugare la politica, a sostegno delle persone e non delle imprese, a favore delle energie rinnovabili e non del nucleare, che vuole preservare l'ambiente e non sfruttarlo, che investe sulla formazione e sull'istruzione e non taglia loro i finanziamenti, che si batte perché i servizi siano pubblici ed efficienti e non privati e costosi.

Il "non voto" non è una protesta, è un suicidio.

giovedì 25 marzo 2010

Io, nel bene e nel male

Rinnovo i ringraziamenti a Filippo e Roberto di "The Germano Connection". Non so come abbiate fatto ma non sembro neanche troppo in imbarazzo davanti alla telecamera!

mercoledì 24 marzo 2010

Diritti consapevoli

Un po' di mesi or sono mi sono trovata a "discutere" di diritti con un mio coetaneo su FB. Avevo pubblicato un post che esprimeva il mio pensiero laico in materia di unioni di fatto e matrimoni tra omosessuali.
Questo amico contestava la mia posizione sostenendo che non fosse pensabile che il parlamento perdesse tempo a legiferare su materia d'interesse di una stretta minoranza dei cittadini. Gli feci notare che molto spesso il parlamento legifera su argomenti di interesse collettivo partendo dalle istanze di cerchie ristrette di persone come ad esempio in materia di diritto della famiglia. Portai l'esempio della legge sul divorzio, elaborata e promulgata dietro la spinta di interessi "borghesi", in un contesto sociale ancora fortemente legato alle istituzioni religiose. L'esigenza di una normativa che regolamentasse la cessazione di un matrimonio non era una necessità comune a tutti gli italiani ma poter sciogliere il proprio legame famigliare era un diritto che acquisivano tutti gli italiani. Stessa cosa valeva per l'interruzione volontaria di gravidanza che non implicava che ogni donna avrebbe fatto uso del diritto di abortire ma che permetteva a quelle donne che avessero scelto di farlo, di agire nel rispetto di loro stesse e della legge.
Non ricordo esattamente come ma si finì a discutere di laicità dello stato e il mio interlocutore se ne uscì con questa affermazione: "La costituzione sancisce che l'Italia è uno Stato cattolico e quindi deve difendere la Chiesa. Ora, tralasciando la mia reazione ai limiti di una crisi epilettica, risposi citando testualmente l'articolo 7 della Costituzione: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale."
Alla mia replica non seguì nessuna risposta.
Spettatore di questa "disputa" fu il mio collega poco più che ventenne che osservava perplesso chi vi scrive, incredulo davanti al fatto che conoscessi relativamente bene il testo fondamentale della nostra Repubblica. A quel punto uscì fuori la mia indole di "maestrina" e posi la domanda peggiore che si possa fare a un "giovane": "Ti ricordi cosa dice l'articolo uno della Costituzione? Dai, non è difficile...". Silenzio.
Per prendere la patente devi superare un esame teorico in cui dimostri di conoscere le regole del gioco e uno pratico in cui applichi quelle regole. Per essere assunto superi l'esame di un colloquio in cui enunci quali sono le tue attitudini e poi un periodo di prova in cui dimostri di poter svolgere una determinata mansione.
Lo so che il voto è un diritto ma qualche volta vorrei che fosse accessibile secondo metodi un po' più "selettivi" che il semplice raggiungimento della maggiore età.
L'ideale sarebbe che arrivato al diciottesimo compleanno, ogni italiano avesse una "formazione sociale" tale da permettergli di votare in coscienza.
Anche lavorare è un diritto ma mica puoi progettare un ponte se hai studiato chimica.
Non sto dicendo che dovrebbero votare solo i cittadini che si interessano di politica ma non mi dispiacerebbe che la tessera elettorale fosse rilasciata dopo aver superato un breve "quiz" di educazione civica.
Forse, in questo modo, si otterrebbe un doppio risultato, quello di avere una popolazione più consapevole e quello di avere dei governanti più capaci.

martedì 23 marzo 2010

Carta stampata 2


Il Monferrato 23-03-2010

Da domani si torna a scrivere seriamente.

domenica 21 marzo 2010

Non solo nero su bianco

Grazie agli amici di "The Germano Connection" per avermi chiesto di realizzare questo video.




(scusate lo sbattacchiamento di neuroni iniziale ma mi si erano inceppati dentro la scatola cranica ;-) )

sabato 20 marzo 2010

Eco-conti

Oggi sono stata folgorata da un pensiero così semplice da lasciarmi sconcertata: sono esattamente quattro mesi e mezzo che non stiro!
Ok, di per se la cosa non è molto qualificante ma dietro a questa verità assoluta ci stanno un paio di ragionamenti laterali.
Il primo è che, se impari a scegliere come vestirti e stendi gli indumenti con un minimo di cognizione, puoi lasciare il ferro da stiro nel ripostiglio e risparmiarti almeno un'ora alla settimana per fare qualcosa di più piacevole come leggerti qualche pagina di un buon libro.
La seconda è che, per quanto un ferro da stiro non consumi una quantità di corrente elettrica stratosferica, quattro ore di mancato utilizzo in un mese sono un bel risparmio sia dal punto di vista economico che "ecologico".

Gironzolando sul web mi sono imbattuta in questo sito che ha un eco-contatore che permette di valutare il proprio impatto ambientale e ho deciso di verificare quanto costo all'ambiente.

Questi i risultati:

La mia routine (andare al lavoro in auto, farmi qualche giro in moto, lavarmi, lavare, cucinare e mangiare):
NB: niente consumo di acqua in bottiglia perchè bevo quella del rubinetto.


L'attività politica sulla regione (ho considerato Torino come media chilometrica e stimo circa un viaggio ogni 2 settimane):



Attività politica sulla provincia (questa volta la media chilometrica è stimata su Novi Ligure con una frequenza settimanale):



A conti fatti devo all'ambiente annualmente: 321.75 + (1.80 x 26) + (1.35 x 52) = 438.75 euro di investimenti sulla riforestazione.

Diciamo che, siccome voglio stare dalla parte della ragione, ho deciso di azzerare il mio impatto ambientale investendo per un anno 40 euro mensili nel progetto di riforestazione dei nostri parchi e cercherò, nel frattempo, di diminuire il mio impatto ambientale, giusto per non essere "ecologisti" solo a parole.
Tra un anno farò un nuovo bilancio e se sarò stata brava avrò risparmiato le risorse ambientali e soprattutto un pezzo del mio stipendio e in questo caso più che mai "pecunia non olet".

venerdì 19 marzo 2010

Carta stampata

Il Monferrato 16-03-2010 (click sull'immagine per ingrandirla e leggere)

giovedì 18 marzo 2010

Accadueo



Mi perdonerà il buon Finardi per averlo indegnamente citato per la seconda volta dall'apertura di questo blog ma chi ama incondizionatamente la musica non può fare a meno di infilarla in ogni ambito della propria esistenza.
E' parte integrante del proprio essere, è come un organo, anzi, è di più, è come il sangue che ci scorre nelle vene. Un suono/sangue fatto di parole, di note, di melodia così come il nostro sangue è fatto di cellule, di sostanze e d'acqua.
In tempi in cui tanto si parla di acqua pubblica e acqua privata fa specie pensare che il settanta percento circa del nostro corpo è costituito da un bene che potrebbe non essere più di nostra proprietà. Ma aspetta, a pensarci bene, io sono la proprietaria dell'acqua che sta nel mio corpo perchè in qualche modo l'ho acquistata e quando la rimetto in circolo dopo la "trasformazione" qualcuno dovrebbe pagarmi. Non funziona così? Ah, dite di no? E mi spiegate perchè noi dobbiamo sempre comprare quella degli altri e nessuno si compra mai la nostra?
Lo so che la battuta non è un gran che e la questione è seria quindi, riprendiamo un minimo di contegno e proviamo a ragionare.
Il 97% dell'acqua che c'è sul nostro pianeta è salata, il 2% è sotto forma di ghiaccio e l'1% sono acque dolci superficiali e sotterranee. Il 90% di queste sono destinate all'utilizzo nell'industria a nell'agricoltura e solo il 10% è destinato all'impiego per l'uomo.
A far discutere i politici di tutt'Italia da un anno a questa parte è quindi qualcosa tipo un "misero" 0.1% di tutta l'acqua che c'è sul pianeta.
Sotto accusa, quando si parla di acqua pubblica, sono come al solito gli sprechi e le inefficienze che, uniti alla volontà di mantenere il più basso possibile il costo di un servizio essenziale, rappresentano spesso una voce in passivo nei bilanci delle aziende pubbliche che ne gestiscono la fornitura.
Quando si ragiona invece di servizi privatizzati, normalmente si associano a questo termine quelli di efficienza e libera concorrenza.
Vorrei fare un passo indietro e chiedere, a chi ha un'età per farlo, di ricordarsi i tempi della SIP, i tempi in cui le telefonate erano urbane, e costavano 200 lire, o interurbane e dovevano durare poco perchè "costavano parecchio" (anche 600 lire sei minuti di telefonata!). Quando la linea vi si guastava andavate dal vicino, facevate una telefonata a cui rispondeva una gentile signorina e al massimo il giorno dopo (ma più spesso nel giro di poche ore) potevate nuovamente telefonare.
Quanti di voi hanno avuto la sventura di relazionarsi con il risponditore automatico di Telecom per la segnalazione dei guasti e poi con il customer service che puntualmente non riesce a trovare il ticket della segnalazione che hai aperto due giorni prima e nel frattempo ha rosicato perchè stava pagando un cacchio di abbonamento flat e non poteva usufruire del servizio per motivi che trascendevano la tua volontà e comprensione?
Ok, chiusa parentesi. Premesso che so benissimo che gestire le reti idrica e telefonica sono due cose differenti (ovvio, senza telefono campi e forse anche meglio che con il telefono ma senz'acqua non ci puoi stare), premesso che il fine stesso di un'impresa è il lucro (mica sono associazioni di volontariato), premesso che abbiamo avuto già un discreto numero di esempi di privatizzazioni che sono sfociate in oligopoli in cui la costituzione di un cartello non necessita di telefonate compromettenti tra imprenditori, ve la sentite di giocare questa partita scommettendo su un esito le cui probabilità di realizzarsi sono minime.
Ho un'idea in testa: pagare per pagare, preferisco che il mio denaro finisca nelle mani di una società pubblica che ha l'obbligo di reinvestire una buona percentuale degli utili nel miglioramento del servizio fornito, piuttosto che lasciarli in mano a un privato sicuramente molto scaltro in fatto a trovare il modo di eludere eventuali vigilanze sul reinvestimento degli utili.
Come disse qualcuno (e sta volta non faccio riferimento alla mia tradizione politica per la citazione), "A pensar male si fa peccato ma s'indovina quasi sempre".

mercoledì 17 marzo 2010

Congiuntivo imperfetto


Se il mondo fosse perfetto non ci sarebbe bisogno del volontariato perché lo Stato tutelerebbe i propri cittadini e garantirebbe loro servizi appropriati alle loro esigenze.
Ma nel nostro mondo imperfetto il volontariato è per molti versi la chiave di volta che sorregge interi sistemi di servizi.
Dalla tutela dei diritti, alla salvaguardia dell'ambiente, al supporto socio-sanitario, alla sicurezza, molti dei servizi che dovrebbero essere prerogativa di uno Stato efficiente vengono demandati ad associazioni di volontari che decidono di dedicare una fetta del proprio tempo e delle proprie risorse economiche al prossimo.
Per certi aspetti, pensare che lo spirito altruistico nel nostro paese sia ancora abbastanza sviluppato da fare in modo che continuino ad esistere associazioni di volontariato, è rassicurante ma ci si deve domandare quanto ancora potrà durare.
Il modello sociale che sta prendendo piede è di segno totalmente opposto ed è schematizzato in modo molto efficace in una canzone (ah, che bella la nostra tradizione delle canzoni di denuncia) che sostiene la teoria per la quale "l'uomo forte si nutre del debole che poi sul debole a sua volta si vendica".
L'animale sociale "uomo" spinto all'esasperazione, come ogni altra bestia, dimentica la solidarietà tra simili e si adatta alla legge della giungla in cui solo il più forte sopravvive e ognuno pensa per se.
Il volontariato non è una dote innata che alcuni hanno e altri no ma è frutto di una miscela di sensibilità individuale e condizione sociale.
E' possibile immaginare che una ragazza che si paga da sola l'università facendo la cameriera in un pub, obbligata a dedicare tutto l'impegno possibile allo studio per essere certa di passare tutti gli esami al primo appello visto che ogni fallimento significa ulteriore denaro che dovrà spendere per conseguire la laurea, si ritagli qualche ora alla settimana per andare a fare la spesa per l'anziana signora del palazzo che ha difficoltà a camminare?
E' possibile immaginare che un giovane uomo, costretto a svolgere un doppio lavoro per mantenere la sua famiglia e pagare l'asilo del figlio, decida di sfruttare il suo "tempo libero" per attività diverse dal riposo?
Il volontariato è nato sul terreno fertile di una condizione sociale generalmente discreta ma rischia di appassire per mano di chi ad esso ha delegato con superficialità molti dei propri doveri.
La destrutturazione dello stato sociale ha innescato un circolo vizioso per cui, man mano che la richiesta di assistenza e tutela aumenta, la risposta si fa meno organizzata e tempestiva.
Porsi delle domande è l'azione migliore che un politico possa compiere. Io lo faccio quotidianamente e le stesse domande a cui cerco una risposta, le pongo a chi mi sta intorno.
Quale tra la costruzione di un ponte che colleghi Calabria e Sicilia inondando le tasche della criminalità organizzata di denaro e l'investimento di risorse per sostenere i cittadini a reddito più basso è la Grande Opera?
Io un'idea ce l'ho ma si sa, noi di sinistra abbiamo certe fissazioni del tipo che il benessere della gente conta più degli interessi economici di certi imprenditori.
E comunque, sai quanta gente ci sta sotto un ponte lungo cinque chilometri?

martedì 16 marzo 2010

La dignità del cane

Stamane acquisto il bisettimanale della mia città e, scorrendone velocemente le pagine prima di cominciare a lavorare, leggo che i candidati locali sono stati invitati alla presentazione di un libro dal titolo che è tutto un programma: Dizionario bilingue Cane-Italiano.
Mi rallegro per il fatto di non scorgere il mio nome tra gli invitati e, accantonato il giornale, mi metto all'opera per guadagnarmi la pagnotta. Intorno alle 11 arriva l'ennesima notifica della giornata da Google Talk che segnala un nuovo messaggio di posta elettronica. Vado a sbirciare e mi trovo un gentile invito a partecipare all'incontro di cui sopra (alla faccia del preavviso).
Mi metto il cuore in pace e, più per gentilezza che per reale voglia, rispondo confermando la mia partecipazione.
Arrivo a casa, tolgo il pile e infilo una maglia dignitosa (i jeans no, non mi sembra di averne di dignitosi e quindi un paio vale l'altro) e mi faccio cinque minuti di passeggiata fino alla libreria.
Mentre cammino mi domando se sia possibile che con tutti i problemi che abbiamo a Casale, ai candidati sia chiesto di esprimere la loro progettualità in relazione alla legiferazione sull'argomento "cane-canile" piuttosto che sulle strategie per contrastare la crisi dell'industria del freddo e il conseguente aumento della disoccupazione e delle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà, sulle bonifiche dei siti che ancora presentano manufatti contenenti amianto, sul miglioramento dei servizio socio-sanitari...
Ma anche il cane ha la sua dignità e da bravi candidati parliamo di ogni cosa su cui ci venga chiesta un'opinione.
E allora... io sono stata figlia e nipote di cacciatori e coi cani ci ho vissuto fin dal primo giorno della mia vita. Ne ho avuti di miei, che ho addestrato e da cui sono stata educata e temo di non aver più molto da imparare da un libro.
Ho adottato cani abbandonati e ho curato nel miglior modo possibile tutti i miei amici a quattro zampe perché il rispetto per la vita non fa distinzione di sesso, razza o specie!
Ora, me lo scrivete un dizionario che mi insegni a capire il significato di taluni comportamenti delle persone?
Di quello si che ce ne sarebbe bisogno.

lunedì 15 marzo 2010

Pre-cariato


Pre-cariato: dicesi di dente sul quale si sta sviluppando una malattia degenerativa dei tessuti duri che conduce al doloroso sgretolamento dello stesso a causa dei danni apportati a smalto e dentina .
Precariato: dicesi di condizione lavorativa degenerativa che porta al doloroso sgretolamento del tessuto sociale a causa dei danni apportati alla sicurezza lavorativa ed economica dei lavoratori.
Fosse così facile portare il nostro sistema economico dal dentista e curare questa malattia ora, finché è ancora curabile.
Quando una carie comincia a fare dei danni vistosi su un dente hai due alternative: o la curi e prendi un po' di precauzioni per evitare che si formi nuovamente o fai finta che non ci sia e ci mastichi sopra di tutto, accelerando il processo distruttivo.
Il precariato è la carie del nostro tessuto sociale e l'atteggiamento che si sta avendo nei suoi confronti è quello di chi finge che il male che sente sia dovuto a una nevralgia e non alla profonda voragine che si è aperta su un suo molare.
Se provo a fare i conto di quanti, tra i miei amici, godono come me dell'enorme privilegio di avere un lavoro full-time a tempo indeterminato, mi accorgo di far parte di una elite, di essere tra i pochi che, pur con qualche difficoltà, possono progettare un pezzo della propria vita con un minimo d'anticipo.
Perché poi è questa la prima implicazione di una condizione di lavoro instabile e sottopagata, quella di riuscire magari anche ad arrivare a fine mese, ma di non potersi permettere di immaginare cosa succederà il mese successivo o quello dopo ancora.
Quando l'azienda per cui lavoro ha richiesto i primi sei mesi di cassa integrazione ordinaria, ho vissuto l'evento con un'inquietudine dettata dal timore di dover cambiare i progetti che avevo messo in cantiere fino a quel momento. Lavoravo già da dieci anni e non avevo mai pensato che un giorno sarebbe potuto accadere che mi venisse imposto di stare a casa e perdere una parte del mio stipendio. Le uniche volte in cui avevo rinunciato ad un pezzetto di questo erano state le occasioni in cui avevo aderito agli scioperi nazionali e l'avevo fatto orgogliosamente, convinta che stessi difendendo il mio lavoro e quello dei miei colleghi pagando un piccolo prezzo.
Prima di provarla sulla mia pelle non avevo mai compreso quali fossero le implicazioni della condizione di insicurezza lavorativa. Le avevo immaginate ma mi sono resa conto di aver decisamente sottostimato la questione.
Da quell'esperienza imparai che se il lavoro era un diritto sancito all'articolo quattro della nostra beneamata Costituzione repubblicana nel '47, oggi la realtà è ben diversa.
Il lavoro ha come scopo la soddisfazione di bisogni individuali o collettivi e quando, perché sottopagato, perché temporaneo, perché inaffidabile, disattende la sua finalità, allora si chiama sfruttamento.
Scommetto che, spiegato opportunamente, anche mio nipote lo capirebbe. "Michi, se la mamma di da due euro e tu vuoi comprarti tre zucchine che costano tre euro (lui impazzisce per le zucchine!) perché hai tanta fame, puoi comprarle?" "No" "quante ne puoi comprare con due euro?" "Due" "Ti ci riempi il pancino con due zucchine?" "No". Mica così difficile!

domenica 14 marzo 2010


Questa sera proprio non ce la faccio, ci rivediamo domani!

sabato 13 marzo 2010

Reale

Novi Ligure è una bella cittadina e soprattutto è considerata tra le roccaforti rosse della provincia di Alessandria. Questo pomeriggio, a sorreggere lo spirito della "vostra eroina" intenta a distribuire santini a destra e a manca, c'era un bel sole che scaldava abbastanza da invogliarmi a togliere il giaccone e restare in maglia tra i novesi che passeggiavano pigramente (abbiamo anche il contributo fotografico a dimostrare che dietro questa tastiera c'è davvero qualcuno e che quel qualcuno è una tipa in jeans e scarpe da ginnastica).
Il bello dell'andare a volantinare e che se hai un minimo di faccia tosta, puoi riuscire a far fermare a discorrere con te un sacco di persone. Così, questo pomeriggio, almeno una trentina di persone, ricevendo dalle mie mani il santino al motto "Le regalo una mia foto così magari le viene voglia di votarmi", si sono intrattenute per scambiare qualche parola, divertiti dal mio approccio inusuale.
Una di queste persone è stato un signore sull'ottantina, che dopo avermi sorriso ricevendo il mio "materiale elettorale", mi ha raccontato di avere una figlia invalida che percepisce un'indennità di 300 euro al mese e che deve assumere costantemente dei farmaci in cui costo mensile è di 400 euro. Mi spiegava la sua preoccupazione relativa al futuro della figlia nel caso lui e sua moglie fossero venuti a mancare e non avessero più potuto contribuire alla cura e al sostentamento della figlia. Inoltre mi diceva che, pur con tutti i suoi problemi, la figlia avrebbe volentieri lavorato part-time per riuscire a gravare meno sui genitori, ma ovviamente non riesce a trovare lavoro sia a causa della malattia che della crisi economica. La cosa che mi ha colpito maggiormente dell'incontro con quest'uomo, è la dignità con cui raccontava la sua vicenda, senza piangerie o invettive, solo con molto rammarico.
Dopo circa mezz'ora da che l'anziano se n'era andato, stavo nuovamente allungando santini ai passanti e, incrociando un signore in bicicletta, esordisco con la mia frasetta e ricevo in cambio uno sprezzante "Ma andate a lavorare!".
Il primo istinto è stato quello di volargli addosso e legargli la bici intorno al collo ma, fortunatamente, si era allontanato troppo velocemente perché potessi sperare di raggiungerlo mettendomi a correre. Se avessi potuto fermarlo gli avrei spiegato che io, per fortuna, lavoro! Certo, anche la mia azienda ha risentito della crisi e questo ha significato, per me, entrare a far parte delle statistiche sulla cassa integrazione. Gli avrei spiegato che negli ultimi due anni la percentuale di disoccupazione è salita di due punti, il che significa che "andare a lavorare" non è mica come dirlo. Gli avrei spiegato che c'è gente che mantiene una famiglia con uno stipendio che è una vera e propria beffa oltre che un furto ai danni di chi non può reagire perché vittima del ricatto di un contratto a tempo determinato o a progetto.
Gli avrei fatto conoscere il padre della ragazza invalida e gli avrei chiesto di ripetere a lui il suo consiglio velenoso, giusto per vedere se fosse stato sufficientemente intelligente da capire di essere un cretino.

venerdì 12 marzo 2010

In sanità


Per me è seriamente problematico parlare di sanità per due motivi ben distinti. Il primo è che per mia enorme fortuna godo di una salute di ferro, il secondo è perché, per mia altrettanto grande sventura, i miei rapporti con la sanità sono stati mediati dalla malattia che ha ucciso mio padre.
Più di 5 anni fa i medici diagnosticarono a mio padre un tumore all'intestino. Venne operato nel giro di pochi giorni e si sottopose a cicli di radioterapia e chemioterapia per diversi mesi dopo l'intervento. Nel frattempo mia cognata, la moglie di mio fratello, rimase incinta e quando partorì il primo nipote di mio padre, lui stava abbastanza bene da potersi godere la gioia di diventare nonno. Come da protocollo si sottopose periodicamente a visite di controllo che comprendevano Tac, esami del sangue e radiografie. Andammo avanti un paio di anni alternando alle visite oncologiche quelle da uno psicoterapeuta fino al giorno in cui gli venne diagnosticata una recidiva al fegato. Si era sviluppata molto rapidamente tra una TAC di controllo e l'altra e prima di intervenire chirurgicamente fu necessario che si sottoponesse a un ulteriore ciclo chemioterapico nel tentativo di ridurre la massa tumorale. Quando finalmente fu possibile intervenire, fu ricoverato al Mauriziano di Torino e l'intervento fu trasmesso in diretta all'assemblea un congresso di chirurghi provenienti da tutta Europa. L'intervento riuscì ma una serie di complicazioni post-operatorie ritardarono di molto l'inizio dei cicli chemioterapici e, a distanza di un anno, subì un nuovo intervento a un polmone. Questa volta andò meglio e nel giro di poche settimane tornò a fare il nonno.
All'inizio dello scorso anno, gli esami di controllo evidenziarono una nuova formazione al fegato, questa volta non operabile.
Mio padre chiamava spesso i suoi medici chiedendo informazioni sulla sua salute e su cosa potesse fare per guadagnarsi un po' più di tempo perché a fare il nonno si divertiva un mondo e non aveva intenzione di mollare la partita.
All'inizio di luglio però ha dovuto cedere le armi e qualche giorno dopo, riordinando le sue cartelle cliniche, rimasi sconvolta dal numero di referti che aveva accumulato in quattro anni e mezzo. Tra radiografie, TAC, risonanze magnetiche, ecografie, esami del sangue e non so quanti altri accertamenti aveva riempito all'inverosimile un grande cassetto del mobile del salotto, tutto rigorosamente ordinato per data perché mio padre era uno preciso!
C'erano almeno una trentina delle grosse buste che si usano per contenere le lastre della diagnostica per immagini, un paio di raccoglitori pieni di esami del sangue e quattro grosse cartelle cliniche, una di Casale Monferrato, una di Candiolo e due di Torino. Non tangibili in quel cassetto c'erano stati i ricoveri (in quattro anni e mezzo almeno sette mesi li aveva passati in ospedale) e i farmaci (dai chemioterapici agli antibiotici per combattere le infezioni ricorrenti dovute all'immunodepressione, gli antiemetici, gli antipiretici e gli antidepressivi. E infine le visite, almeno un centinaio in tutto.
Credo che una stima ragionevole dei costi che avremmo sostenuto in quegli anni si aggiri intorno ai quindicimila-ventimila euro e difficilmente avremmo avuto modo di accollarceli senza chiedere un finanziamento ad un banca, con l'ovvio risultato che mio padre non avrebbe potuto godere delle migliori cure possibili e che probabilmente la sua battaglia non sarebbe stata così lunga.
Ecco quindi uno dei modi di coniugare la sanità pubblica: è qualcosa che ha permesso a un uomo qualunque, senza grandi possibilità economiche, di sopravvivere abbastanza a lungo perché suo nipote, di poco più di quattro anni, indichi oggi una foto e dica: "Nonno Gigi".

giovedì 11 marzo 2010

Etoile

Quando ero piccola e mi chiedevano che mestiere avrei voluto fare da grande rispondevo, scioccando puntualmente l'ignaro interlocutore, che da grande avrei fatto la patologa.
Normalmente, dopo un primo momento di smarrimento, mi veniva chiesto "Ma non ti piacerebbe fare la ballerina?"
Rispondevo fermamente "E perché dovrei fare un mestiere dove non fai nulla di utile e per di più lo fai per far divertire altre persone?"
Io non capivo cosa c'era di così strano nel non ambire al ruolo di primadonna e pensavo che fosse normale preferire il lavoro di retroguardia, lontano dai riflettori, guadagnandosi da vivere trafficando con le mani.
Quando cominciai a fare politica compresi che il ruolo più ambito nell'ambiente era quello dell'ètoile, della stella su cui tutti gli sguardi fossero posati, e benedissi la scarsa concorrenza che si trovava, invece, se si sceglieva di essere un gregario.
Pur di sentirsi ètoile, alcuni compagni partorivano interventi sterili durante le riunioni in modo che, almeno per 10 minuti, anche colui che non sarebbe mai stato candidato a una qualsivoglia tornata elettorale per via della mediocrità delle sue capacità politiche, potesse sentirsi l'ètoile del momento e rimpilzare per bene il proprio ego fino alla riunione successiva.
Non ne ho mai avuto bisogno, non è mai stata una necessità. Discorrevo volentieri fuori e dentro le riunioni ma senza bisogno di salire sul palco a fare il mio piccolo comizio.
Ho sempre pensato che i comizi fossero inutili teatrini ma da qualche settimana mi sto ricredendo.
Non ho mai voluto ammetterlo ma ora che ci ho fatto i conti non posso più fingere che non sia così. Il virus della politica fatta di personalismi, che è rimasto latente per anni nella sinistra, ora sta vivendo un periodo di grande vitalità.
Non so esattamente a cosa sia dovuta ma la mia reazione davanti a questa realtà è di distacco e nausea.
Ogni giorno leggo su faccia-libro le mirabolanti avventure mediatiche dei miei colleghi candidati e mi pongo una semplice domanda. Se io lavoro otto ore al giorno a più di mezz'ora di auto dal mio territorio, come potrò mai andare a volantinare davanti a una fabbrica all'ingresso o all'uscita dei lavoratori? Come potrò andare a una iniziativa che si svolge in una mattina infrasettimanale? Come posso accaparrarmi un piccolo spazio su uno dei periodici locali giusto per far sapere che anch'io sono candidata? La risposta è semplice, non posso. Ma da questa risposta nasce un'altra domanda. Come ci riescono gli altri? Risposta: ci riescono perché hanno occupazioni con orari flessibili. C'è chi fa politica per mestiere, chi è imprenditore o libero professionista. E ci riescono perché quel tipo di occupazione è spesso sinonimo di maggiori possibilità economiche.
La politica di oggi è roba da borghesi e se non lo sei, ci puoi provare a stare tra i vasi di ferro ma da vaso di coccio non andrai molto lontano.
La politica di oggi è fatta così. Se sei l'ètoile hai tutto il tuo corpo di ballo a lavorare perché il tuo spettacolo sia magnifico. Se non lo sei... ciccia!

mercoledì 10 marzo 2010

La strada


Sabato sono stata al mare. Ho viaggiato con mia madre alla volta di uno scorcio di spiaggia dove poter passeggiare e respirare il profumo di salsedine. E' mia madre che me l'ha chiesto. Lei non ama guidare ma per me è naturale come alzarmi la mattina e lavarmi la faccia.
160.000 chilometri in 77 mesi di vita significano circa 2100 chilometri al mese o, per dare un'idea più precisa, 75 chilometri al giorno, sette giorni su sette per 6 anni e 5 mesi.
Io e la mia auto li abbiamo percorsi insieme sulle strade d'Italia ma principalmente su quelle della nostra regione.
Di questi, circa 120.ooo chilometri sono quelli che abbiamo utilizzato per recarci al lavoro e tornare a casa mentre i restanti 40.000 chilometri di strade sono quelli che abbiamo percorso a vario titolo per tutte le attività al di fuori del "solito tran tran".
Avrei voluto poter limitare i miei spostamenti in auto optando per l'utilizzo di mezzi pubblici ma la triste realtà e che l'alessandrino è una zona in cui la rete ferroviaria è, per dirla con un eufemismo, disastrosamente carente e le linee di trasporto su ruote quasi inesistenti.
La progettualità provinciale e regionale in fatto di infrastrutture si è dimostrata assolutamente al di fuori delle esigenze di chi vive sul territorio. Le amministrazioni coniugano la parola viabilità con i concetti di "terzo valico", TAV, ma non è di questo che ha bisogno la gente.
Garantire trasporti pubblici più efficienti permetterebbe a molti di affrontare in modo diverso anche la crisi economica. Se avessi potuto percorrere i miei 120.000 chilometri con treni o pullman, avrei risparmiato indicativamente 4000 euro nell'arco di questi sei anni e mezzo.
Invece si è optato per il "muro contro muro" nelle trattative con le FS che hanno risposto tagliando ulteriormente la frequenza sulle tratte normalmente utilizzate dai pendolari.
Bell'idea! Provino a spiegarlo a chi deve aspettare ore in stazione un "carro bestiame" per essersi dovuto trattenere cinque minuti di troppo in ufficio.
Sarebbe il caso che ci si ricordasse che quelle persone sono le stesse a cui chiediamo il voto.
Le stesse a cui poco importa che le merci viaggino rapide tra Torino e Lione perché con tutto il tempo che spendono sulle banchine delle stazioni, a fare la muffa sono loro!
Difficile immaginare che da domani si riesca a venire incontro alle loro esigenze ma la differenza tra politiche di destra e di sinistra sta nella progettualità che in un caso e tesa al benessere economico mentre nel secondo, semplicemente al benessere.

Polvere


Alcune parole hanno un potere evocativo inaspettato rispetto alla consistenza dell'oggetto che descrivono.
"Polvere" è una di queste parole.
L'immagine mentale della polvere è legata alla staticità, al passato, alla trascuratezza, all'abbandono. Se ne vogliamo cogliere l'aspetto olfattivo, possiamo evocare il profumo di un acquazzone estivo che bagna l'asfalto surriscaldato, l'aroma di un solaio in cui sono stati stipati anni di vita in forma d'oggetti non più utili, l'odore di una vecchia libreria con enormi scaffali in legno troppo alti per pretendere che l'anziano libraio si arrampichi su una scala per sfrattare gli acari che hanno colonizzato i ripiani superiori.
Tra i vecchi del mio paese "la puvri", la Polvere, è una malattia, a volte mortale.
Nel mio pensiero, la polvere non ha odore, ha le voci di persone che ho conosciuto e che non ci sono più e ha una forma inconsueta; il profilo di una fabbrica.
Sono nata in una città dove all'ingresso di un quartiere campeggia uno striscione che identifica un progetto di rilancio dello stesso e dove alla fine di quel quartiere dominano le "spoglie" della fabbrica che avrebbe dovuto garantire agli abitanti della città un benessere duraturo.
Nella mia città tutti sanno il nome di quella fabbrica e di quel progetto, anche i bambini.
Nella mia città quella fabbrica ha prodotto per 80 anni e nel 1986 è stata chiusa.
La fabbrica ha ucciso, ad oggi, centinaia di miei concittadini.
I proprietari della fabbrica hanno provato a dare un valore pecuniario alle vite delle persone morte, sperando di sfuggire ad un processo che appurasse le loro responsabilità in questa strage silenziosa che si sta ancora compiendo.
I miei concittadini non hanno venduto la dignità dei loro famigliari e non hanno accettato di lavare il ricordo col denaro.

Sono nata a Casale Monferrato è insieme ai miei concittadini condivido la peculiarità di avere una probabilità di circa 300 volte superiore alla media nazionale, di ammalarmi di una patologia polmonare letale: il mesotelioma pleurico.

Insieme ai miei concittadini condivido la tragedia di avere avuto mediamente una vittima di questa patologia ogni 4 famigliari.

Insieme ai miei concittadini combatto per avere giustizia.

Insieme ai miei concittadini non permetterò che la polvere nasconda la verità e il ricordo.

lunedì 8 marzo 2010

Chi dice Donna...


Ma che palle, un altro 8 marzo a suon di mimosa e retorica!

Prima di cominciare mi scuso per essere stata assente nella giornata di ieri ma se pure l'Onnipotente si è concesso un giorno di riposo, a maggior ragione potevo farlo io che, da comune mortale, non sono ancora stata fornita di un pack di batterie atomiche o di un più "sostenibile" pannellino fotovoltaico per ricaricare le energie.

Finita questa piccola parentesi riprendiamo il filo del post.

Sulla giornata di domani l'agenda porta segnato: ore 17:00 Commissione Pari Opportunità ultimo incontro corso "Femmine si nasce, donne si diventa: l’avventurosa storia delle libertà femminili e del corpo delle donne".
Bel corso, ben organizzato, accattivante, trasversale, partecipato, peccato sia finito perchè è stato davvero interessante specie per gli spunti di riflessione che ne sono nati.
Tipo: Vi siete mai chiesti perchè gli organi istituzionali "in rosa" fioriscano con la benedizione di amministrazioni di qualsiasi colore e indipendentemente da quanto queste siano sessiste?
Siamo letteralmente circondati da Commissioni Pari Opportunità, Consulte delle Donne, Consulte delle Elette e chi più ne ha più ne metta. La mia domanda è molto semplice; perchè il "potere", che all'interno delle istituzioni è coniugato pressochè al maschile, ritaglia tanti spazzi in cui dare "potere" alle donne?
La risposta più ovvia è che questo comportamento vada in direzione di un pieno raggiungimento della parità tra donne e uomini e sia un riconoscimento dell'importanza crescente che riveste la sensibilità femminile all'interno delle dinamiche amministrative.
Posso dire la mia? Certo che posso, questo è il mio blog! BALLE!!!
Sono riserve indiane in cui ci chiudono dandoci l'illusione di essere libere di allevare i nostri bufali e venerare i nostri dei e intanto non possiamo decidere autonomamente nemmeno se piantare patate o mais.
Le consulte, le commissioni, sono un modo come un altro per far credere a qualcuno di rivestire un ruolo di rilievo e contestualmente tagliarlo fuori dalla sala dei comandi.
Nel vecchio PCI (e non solo allora e in quel partito) si faceva con i probiviri. Le cariatidi del partito che nessuno sopportava più e che nessuno voleva nel Direttivo o nella Segretaria ma a cui si doveva affidare un'etichetta che si potessero cucire addosso per poi potersene vantare al bar sport con gli amici, si nominavano nel Collegio dei probiviri.
Spiace dirlo ma ci stanno bellamente prendendo per i fondelli e noi ringraziamo commosse per tanto onore. Se domani ognuna delle donne che fa parte di una qualsiasi commissione Pari Opportunità andasse dal suo Sindaco o dal suo Presidente della Provincia o della Regione e proponesse l'istituzione di una commissione per la salvaguardia della femminilità delle donne che fanno politica, il giorno dopo sarebbe già costituita.
Vi trovereste in splendidi circoli per il cucito istituzionalizzati.
Sveglia! La piantiamo di credere che ogni concessione che ci viene fatta sia un enorme passo verso la parità? Finchè sono "concessioni" vuol dire che il potere ce l'ha qualcunaltro!
Ve le vedete queste donne "emancipate" a cui la sera dell'8 marzo viene "permesso" di uscire con le amiche, magari sbronzarsi e andare a infilare qualche banconota nel tanga di uno spogliarellista, e che proprio per via di questo "regalino" ricevuto dai propri fidanzati o mariti, si sentono libere e padrone del loro destino, stante il fatto che per il resto dell'anno siano trattate più o meno alla stregua di colf.
Noi belle signore che ci beiamo di far parte di questi organi di parità non siamo poi così diverse.
Allora, al posto di disperdere quel poco di risorse che abbiamo all'interno di salottini culturali, perchè non decidiamo di fare un po' di politiche di parità serie? Perchè non cominciamo a pretendere di essere candidate non perchè nei nostri partiti sono in vigore le quote rosa ma perchè siamo politicamente preparate e capaci?
Che ci dicano in faccia perchè un candidato uomo è da preferirsi a una candidata donna, questi bei paladini dei diritti!


sabato 6 marzo 2010

E poi? Ma vaff..


Scusate il ritardo ma ci vuole un po' a sbollire a sufficienza per poter scrivere un post che non sia di soli smadonnamenti!
A cinque anni giocavo a scala quaranta con il mio bisnonno, un omone veneto che viveva una partita a carte con tale spirito di competizione che, pur di vincere, arrivava a barare anche con la pronipotina vergognosamente fortunata.
In linea di massima ci riusciva senza che me ne accorgessi ma una volta lo fece con tale spudorata leggerezza che mi infuriai cominciando a urlare che se c'erano delle regole andavano rispettate e che doveva smetterla di cambiarle a suo piacimento pur di vincere (anch'io mi portavo sulla spalla la scimmia del vincere a carte e ci pativo come una pazza a perdere!).
Mi ricordo bene che dovette intervenire mia nonna (sua figlia) per sedare questa furibonda discussione tra una bimbetta di cinque anni incarognita per essere stata "presa per il culo" e un ottantenne colto in "flagranza di reato" ma che pretendeva d'aver ragione perché io ero piccola e dovevo accettare di perdere, volente o nolente, per bravura del nonno o per sotterfugi da lui escogitati per ribaltare l'esito scontato di una partita quasi persa.
Certo, alla fine mi toccò abbassare la cresta e ritornarmene a casa con le orecchie basse, ma da quella volta il nonno Tony non provò più a barare anche perché io ero diventata molto più attenta e si vedeva lontano un chilometro che ero agguerrita al punto che non l'avrebbe passata liscia se ci avesse riprovato.
E adesso spiegatemi per quale motivo non dovrei mettermi a prendere a pugni il primo pdellino che incrocio per strada.
Ma per quale sacrosanto motivo io mi devo fare le "natiche a tarello" per raccogliere la documentazione, controllarla, ricontrollarla, riricontrollarla, ririricontrollarla, prendere due poveri "martiri" e stracciargli le cosiddette per due giorni spiegando e rispiegando come e quando e dove presentare la lista, obbligarli ad alzarsi ad orari indegni per essere i primi a presentare la lista (meritandomi una serie di insulti per questo), bearmi perché come al solito abbiamo fatto un bel lavoro nonostante si parta sempre tardissimo e infine tirare un sospiro di sollievo alla notizia che la lista è stata accettata quando anche se non avessi fatto tutte queste cose avrei comunque avuto modo di partecipare alla tornata elettorale?
Semplice! Perché se io avessi mancato uno solo di questi passaggi e per caso avessi compiuto una seppur minima inesattezza nella presentazione della lista, sarei stata fuori!
C...O! Io non sono il pdl che se fa delle coglionate poi si fa il decretino e se la aggiusta!
Allora vorrei sapere perché le mie coglionate sono coglionate e me le tengo mentre quelle del pdl sono coglionate che diventano interpretazioni delle normative.
Da oggi so che esistono coglionate, e di conseguenza coglioni, di serie A e di serie B.
Le prime sono quelle fatte da coglioni di serie A che vanno compresi in quanto "sommi coglioni".
Le seconde sono quelle fatte da coglioni di serie B che sono dei poveracci per cui le regole non si cambiano.
E io non dovrei "inacidirmi" come quando avevo cinque anni davanti a un prepotente che vuole sempre vincere anche barando?
Scusate lo sfogo... si vede che non mi era ancora sbollita del tutto...
PS: Complimenti anche al "compagno" Capo dello Stato per l'uscita:
"Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici."
Allora per quale ragionevole motivo esistono ancora le normative relative alle presentazioni delle liste? Perché qui sembra dare ad intendere che solo per il fatto di essere una formazione politica si ha il diritto di partecipare a qualsiasi tornata elettorale.
Ben venga compagno Presidente, non sa come mi renderebbe felice non dovermi più occupare di quell'incombenza burocratica. Veda di metterci una buona parola con il Parlamento e il Governo, lei che è uno che conta.

venerdì 5 marzo 2010

Il "nocciolo" della questione


Avevo quasi 8 anni. Fin da quando avevo imparato a camminare da sola avevo cominciato a frequentare assiduamente l’orto dei miei nonni durante tutta la primavera e l’estate. Uscivo dal cortile dei miei genitori, mi infilavo in quello dei miei nonni, arrivavo in fondo e aprivo il cancelletto che mi separava dal paese dei balocchi, il posto dove crescevano alberi da frutto e verdure ben ordinate. Camminavo un po’ tra l’insalata, i fagiolini e le melanzane studiandone lo sviluppo delle piantine in primavera e lo stato di maturazione in estate cercando qualcosa da poter assaggiare.
I pomodori erano i miei prediletti, osservavo attentamente ognuno di loro prima di scegliere quale cogliere e divorare sul momento, ancora caldo di sole e un filo impolverato.
La primavera e l’estate dell’86 mi insegnarono quanto gustosa fosse la verdura che coltivavamo in casa in confronto a quella del supermercato. Fui costretta ad impararlo perché quella primavera e quell’estate non mi fu permesso di mangiare nulla di quello che maturava nel nostro orto e io camminavo desolata osservando le fragole che sembravano chiamarmi e stramaledicendo quella “nuvola” che “forse ha portato le radiazioni fino a qui” e che faceva dire ai telegiornali “è opportuno, a scopo preventivo, evitare di consumare frutta e verdura di propria produzione per via del rischio che sia stata contaminata”.
Di nucleare non se ne parlava molto in casa, certo si sapeva che c’era la centrale di Trino e che l’acqua riscaldata che veniva immessa nel Po faceva si che i pesci morissero e che non si potesse più pescare in quella zona ma nulla di più.
Dal 26 aprile 1986, per più di un anno, a casa mia si discusse quasi ogni giorno di Chernobyl e di Trino e quando, nel novembre del 1987, il referendum sancì l’abbandono del nucleare come fonte di produzione di energia, si festeggiò a lungo. Sembrava che tutti si sentissero davvero più sicuri, come se il fatto di non avere centrali “in casa” rendesse contestualmente più lontane quelle francesi o svizzere.
Io non mi sentivo più tranquilla. Se Chernobyl mi aveva impedito di mangiare le mie albicocche e le mie pesche, cosa sarebbe successo se a guastarsi fosse stata una centrale più vicina a casa nostra?
Poi, come sempre accade agli uomini, l’inquietudine dovuta a un rischio non prevedibile, scomparve lentamente seppellita da altri interessi e altri problemi.
Dopo il diploma trovai lavoro a Trino e parlando con i miei colleghi scoprii che la centrale, nonostante fosse chiusa da anni, sembrava mietere ancora molte vittime tra chi abitava nella zona.
Ascoltando i loro racconti che parlavano di amici e famigliari che avevano sviluppato diverse forme di neoplasie cominciai a risentire quell’inquietudine che avevo provato da bambina.
Credo che la paura sia il sentimento più distruttivo che si possa provare e l’idea di convivere per tutta la propria esistenza con la paura sia una delle pene peggiori a cui si può condannare una persona.
La produzione di energia attraverso il nucleare comporta seri rischi intrinsechi nella natura stessa del ciclo produttivo, dall’arricchimento del materiale radioattivo al suo utilizzo fino allo smaltimento delle scorie.
Io non voglio vivere nella paura che qualcosa non vada per il verso giusto.
Io non voglio vivere pensando che qualcuno mi vuole sfilare delicatamente il cuscino da sotto la faccia sostituendolo con una bomba per poi augurarmi la buona notte.
Io sono sveglia e non mi addormenterò finchè ci sarà qualcuno con quella bomba vicino al mio letto.
Io vigilo e sono contenta di non essere l’unica insonne in questa notte.

giovedì 4 marzo 2010

Scienza e coscienza

"È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio" Albert Einstein
Posseggo una formazione scientifica, sono figlia della razionalità e dell'analisi e per questo, quando mi trovo a ragionare sull'etica della ricerca, spesso mi trovo a sostenere posizioni dissimili da quelle che ci si aspetterebbe da un politico di sinistra.
Il tema è delicato, complesso e controverso ma non per questo va ignorato.
Parliamo di ingegneria genetica. Le applicazioni sono molteplici e, sfortunatamente, a far notizia sono quasi sempre quelle più allarmanti o "inutili". Se chiedo a chi mi sta leggendo di dirmi qual è il primo pensiero che associano a questa disciplina scientifica, la stragrande maggioranza risponderà citando "la pecora Dolly" o "la soja transgenica". Tralasciando la discussione sulla dubbia utilità di clonare organismi animali, chiedetevi quanto conoscete in realtà sull'argomento. Sapete che l'aumento della resa ottenuta tramite la coltivazione di varietà OGM ha sfamato persone che altrimenti sarebbero morte per malnutrizione? Sapete che combattiamo una delle malattie del secolo, il diabete, grazie all'insulina prodotta da un OGM? Sapete che altri OGM possono essere impiegati per la produzione di biocombustibile da scarti di lavorazioni agricole? Lo sapete che al fianco dei vaccini contro la pertosse e contro l'epatite B, già prodotti tramite l'utilizzo di OGM, si stanno sperimentando vaccini OGM-made contro l'AIDS e contro il cancro?
Questi sono solo alcuni esempi ma se volete avere un'idea di cosa davvero significhi OGM, non limitatevi a pensare al pomodoro modificato con il gene di un pesce artico (tanto millantato ma per colpire emotivamente ma che, per dovere di cronaca, riferisco essere stato uno splendido fallimento che non è mai uscito al di fuori dei laboratori dove è stato "costruito" e "testato").
Non sostengo che l'ingegneria genetica abbia la risposta a tutti i problemi del mondo ne tanto meno che tutte le sue applicazioni siano esenti da rischi per la salute dell'uomo e del pianeta ma da lì a demonizzare una disciplina scientifica con tante potenzialità, mi sembra che possa esistere una posizione di compromesso.
La storia ci ha insegnato ad essere giustamente diffidenti davanti alle scoperte che annunciavano una rivoluzione tecnica eclatante (dall'energia nucleare all'utilizzo dell'amianto in edilizia agli erbicidi nell'agricoltura per citarne solo alcuni) ma credo che l'approccio fondato sul pregiudizio con cui molti politici parlano di bioingegneria, sia irresponsabile e ottuso.
In questo post ho voluto utilizzare la parola OGM in modo ridondante, ripetendolo alla nausea, rifacendomi mentalmente a un passaggio di un libro, trasposizione letteraria di uno spettacolo teatrale, che tratta un argomento totalmente diverso.
Sto parlando di "I monologhi della vagina" di Eve Ensler.
Se volete scoprire il perchè di quest'associazione mentale, leggete, informatevi, come dovreste fare anche prima di decidere quale posizione tenere relativamente al tema di riflessione che ho voluto introdurvi.
A presto.

mercoledì 3 marzo 2010

Libero-Proprietario


Molto spesso, quando mi metto davanti a questo monitor, ancora non so di cosa scriverò.
Funziona un po’ come la meditazione. Apro un telo bianco sul mio pensiero razionale in modo da azzerarlo e comincio a riesaminare la giornata lasciando scorrere il flusso di pensieri per vedere dove va a parare.
Qualche volta arrivo lontanissima da dove sono partita, altre volte mi fermo dopo il primo passo.
Oggi mi sono fermata prima ancora di partire. Sono rimasta a fissare le icone del mio notebook come un mistico che abbia appena ricevuto l’illuminazione (e non per merito di qualche gestore della rete elettrica).
Sparpagliate sul monitor c’erano le icone di collegamento ai file e ai programmi che uso più frequentemente. Tra tante piccole immagini famigliari alla stragrande maggioranza del “popolo informatico”, ne spiccavano alcune molto meno note.

Da Wikipedia (che io chiamo amichevolmente info-sophia)

Con il termine software proprietario si indica quel software che ha restrizioni sul suo utilizzo, sulla sua modifica, riproduzione o ridistribuzione, solitamente imposti da un proprietario. Queste restrizioni vengono ottenute tramite mezzi tecnici o legali.
In informatica, open source (…) indica un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono, anzi ne favoriscono il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l'applicazione di apposite licenze d'uso.
Il software libero è software pubblicato con una licenza che permette a chiunque di utilizzarlo e che ne incoraggia lo studio, le modifiche e la redistribuzione; per le sue caratteristiche, si contrappone al software proprietario ed è differente dalla concezione open source, incentrandosi sulla libertà dell'utente e non solo sull'apertura del codice sorgente, che è comunque un pre-requisito del software libero.
Indipendentemente dal fatto che la politica del software libero sia evidentemente la più democratica tra le tre, preferireste che il denaro pubblico fosse speso per acquistare un software “rigido” o per acquistare un software “flessibile” con la possibilità di essere adeguato alle singole esigenze e quindi di essere maggiormente efficiente?

A tal proposito.

martedì 2 marzo 2010

Multi-nazionale

Ok, lo confesso, lavoro per una multinazionale della chimica “figlia” di una multinazionale del petrolio. In pratica ricevo lo stipendio direttamente dalle mani adunche di Satana!
Mi piacerebbe poter raccontare di guadagnarmi da vivere in modo più romantico ma il destino cinico e baro mi ha voluta come perno di uno degli ingranaggi che nell'immaginario collettivo rappresenta l'antitesi del militante di sinistra.
Quella della multinazionale è una società strana. Mentre in una piccola o media impresa, se vieni assunto per una mansione specifica e qualificata, non hai concorrenza, in una multinazionale esiste un tuo doppione praticamente in ogni stato in cui l'azienda è presente e quindi, ogni tuo collega straniero è potenzialmente colui che potrebbe farti mandare a spasso.
Regola numero uno nelle multinazionali è capire, parlare e scrivere bene in inglese. Altrimenti come ti puoi rapportare con i colleghi o i clienti?
La prima volta che mi sono trovata a una riunione convocata a livello europeo credevo che ne sarei morta. L'idea di dover parlare una lingua di cui non avevo la piena padronanza, ne grammaticalmente parlando ne sotto l'aspetto della terminologia tecnica, con persone professionalmente più preparate, mi riempiva d'angoscia. Avevo il timore di non riuscire a spiegarmi, di essere giudicata e derisa, di giocarmi il mio futuro all'interno dell'azienda su quell'unica riunione.
La mattina della riunione, dopo aver dormito quasi nulla nella mia stanza d'albergo parigina, arrivai tesa come la corda di un violino, tirata a lustro per l'occasione, impettita e anche un po' rabbiosa, pronta a non darla vinta a nessuno che avesse provato a farmi passare per tonta.
Venni salutata da tutti i presenti, indipendentemente da quale fosse la loro nazionalità, con uno splendido “Ciao!”.
“Ciao?” mi chiesi un po' spiazzata... e dove lasciamo il “Good morning” che mi ero preparata? Dopo di me entrò un collega francese e la scena si ripetè con un “Bonne jour” e così via con i colleghi tedeschi e inglesi. Compresi che il senso era quello di non far sentire nessuno straniero. Salutarti nella tua lingua era un modo per sottrarti alla tua posizione difensiva d'incompreso e sentirti immediatamente parte di una squadra senza confini.
Non ho mai avuto difficoltà nel relazionarmi con persone delle più disparate nazionalità che vivono, legalmente o da clandestini, nel nostro paese. Forse per via della mia incontenibile curiosità ho sempre considerato il vissuto d'altri come una fonte inesauribile di conoscenza e di spunti di riflessione.
Di ritorno dal mio primo meeting tecnico mi resi conto di cosa dovessero essere le politiche di accoglienza. Io, come straniera conscia del fatto di esserlo, ero approdata nel mio “nuovo paese” stando sulla difensiva, piena di incertezze e di senso di inadeguatezza. Se fossi stata accolta con atteggiamenti spezzanti avrei sviluppato un atteggiamento astioso e la mia presenza non sarebbe stata produttiva. Accogliermi invece in modo sereno, senza caricarmi del peso delle aspettative e facendomi sentire una risorsa (anche se effettivamente, per lo scarso bagaglio tecnico che avevo allora, non lo ero affatto) mi ha resa collaborativa.
Mi accorgo ogni giorno che molto dei rapporti interpersonali è mediato dalla nostra predisposizione all'accoglienza, all'ascolto e alla collaborazione. Non sono mai riuscita a guardare una persona proveniente da un qualche stato dell'Africa in modo diverso da come guardo un qualsiasi Americano o Asiatico o Europeo, venisse anche da Alessandria (non quella d'Egitto).
Forse è semplicistica come soluzione ma credo che una buona politica dell'accoglienza debba partire dall'appianare ogni situazione che tenda a mettere sulla difensiva chi vorrebbe essere accolto perché un paese che “accoglie” un migrante rinchiudendolo in un “centro di identificazione ed espulsione” (che già dal nome non fa ben sperare), non predispone il migrante a essere “collaborativo”.

lunedì 1 marzo 2010

La Legge

Chi non ha mai chiacchierato con amici ricordando la propria adolescenza e confrontandola con il vissuto altrui per cercarvi similitudini e differenze?
Il bello di raccontarsi quel periodo della propria vita è legato al fatto che per molti è sinonimo di “disobbedienza”.
Durante l'adolescenza si vive un inasprimento dei conflitti generazionali e questo porta quasi tutti a diventare dei “ribelli” che combattono ogni forma di autorità, da quella genitoriale a quella sociale.
L'adolescenza è il periodo in cui trasgredire alle regole per il solo gusto di affermare la propria individualità.
La mia famiglia mi ha cresciuta con un profondo senso del dovere e del rispetto (non mediato dall'autorità bensì dall'autorevolezza) che mi hanno permesso di attraversare la fase adolescenziale senza cedere alle lusinghe della trasgressione delle regole seppur abbia avuto forti tentazioni a riguardo.
Certo che non aver mai rubato un pacchetto di figurine o essere stata una studentessa disciplinata hanno reso la mia adolescenza un po' più noiosa di altre ma non mi pento della scelta.
Il rigore morale non mi è stato imposto come un dogma ma è entrato a far parte delle mie abitudini come il lavarsi i denti prima di andare a letto.
Qualche anno fa ebbi una discussione con mio padre che mi accusava di essere troppo rigida nel definire comportamenti irrispettosi e troppo intransigente verso chi se ne macchiava. Fui costretta a fargli notare che lui mi aveva insegnato ad essere intransigente con me stessa e che come minimo era doveroso per me pretendere di applicare lo stesso metro alle altre persone.
La classe politica dovrebbe essere d'esempio per i cittadini di un paese democratico. In un mondo perfetto i politici dovrebbero essere i portatori di un messaggio di rispetto totale e indiscriminato della legalità.
Osservare la noncuranza con cui una discreta fetta della classe politica viene colta da amnesie temporanee relativamente a cosa sia reato o meno mi rende furibonda.
Porca miseria, io, da adolescente di sinistra che frequentava ambienti “sballati”, non ho mai nemmeno fatto un tiro di una canna. Come posso accettare che qualcuno mi venga a dire che il consumo di stupefacenti è illegale dopo essersi fatto una pista?
Ovviamente questo è solo un esempio.
Non ne faccio un discorso di proibizionismo o legalizzazione ma solo di coerenza.
Se mi assumo l'onere e l'onore di rappresentare i miei concittadini vorrei essere lo specchio delle qualità del mio paese. Non ha senso esserlo dei difetti. Vorrei dimostrare che è possibile vivere nel rispetto della legalità e che chi dice il contrario cerca solo assoluzioni facili alle proprie colpe.
Poi non dico di essere una cittadina irreprensibile, ho preso le mie sacrosante multe per aver parcheggiato in divieto di sosta, ma da lì essere processata e condannata per corruzione o associazione mafiosa...
Giudicate voi perché io non so essere obiettiva.

domenica 28 febbraio 2010

La scuola


Quando nascevi in un paese e i tuoi genitori, che lavoravano tutto il giorno, non avevano la possibilità o la sfrontatezza di “scaricarti” ai nonni per tutto il pomeriggio, la scelta quasi obbligata era di iscriverti a classi a “tempo pieno” (che a ripensarci ora a questa definizione non può sfuggirti l'assonanza con il termine full-time relativo al mondo del lavoro) o “a tempo prolungato”.
Alle elementari entravo a scuola ogni giorno alle 7:30 (al pre-scuola) e uscivo alle 17:30 (dopo essermi fatta la mia oretta di dopo-scuola). Alle medie la formula era un po' diversa; tre giorni alla settimana avevo lezione anche di pomeriggio, fino alle 16:30.
Per una bimbetta/ragazzina che era abituata a passare all'aperto gran parte della sua giornata, questa “segregazione” forzata aveva il sapore di una punizione divina.
Forse l'unica ragione per cui sono sopravvissuta a quell'esperienza di “restrizione della mia libertà” è che andare a scuola ad imparare mi piaceva un mondo!
Per quanto fossi piccola comprendevo che ogni ora passata dietro quei banchi mi trasmetteva qualcosa che magari non aveva un'applicazione pratica nell'immediato ma che sicuramente “da grande” avrei scoperto essere utile.
Le scuole erano grandi e rassicuranti come se fossero il riflesso delle persone che ci lavoravano. La scuola era il posto dove crescevo, dove avevo la possibilità di stare con i miei coetanei (abitando nella zona più periferica del paese, a ridosso dei campi coltivati, non avevo la possibilità di uscire di casa da sola per andare a casa di compagni di classe a fare i compiti) e dove imparavo le regole della convivenza e della democrazia.
Più volte, ascoltando racconti di scuola di amici, mi sono sentita fortunata ad aver avuto insegnanti preparati, capaci, coinvolgenti che avevano saputo guidarmi lungo quegli anni esaltando le mie potenzialità e spronandomi a migliorarmi e di aver beneficiato di strutture adeguate in cui era possibile affiancare allo studio una serie di attività collaterali non meno formative.
Mi chiedo spesso se oggi l'evoluzione degli schemi d'insegnamento renda ancora possibile, per i bambini, approcciare la scuola nello stesso modo in cui l'ho fatto io e allora chiedo ai figli di amici di descrivermi com'è la loro scuola, di dirmi cosa imparano. Dai racconti mi sembra di intuire una scuola che è sempre più simile ai miei corsi di aggiornamento o di formazione. Nozioni slegate da un contesto generale utili solo a formare professionalmente ma non culturalmente.
Mi chiedo come sia possibile ipotizzare una scuola che cresca persone complete sia dal lato professionale che da quello sociale a fronte di continui tagli di spesa e di mancati investimenti nella formazione dei docenti che riducono progressivamente la qualità di un servizio che dovremmo ricordarci essere principalmente un diritto.
Temo di conoscere la risposta e non mi piace per niente.

sabato 27 febbraio 2010

Babele


La vita di una candidata, vivaddio, non è fatta di sola politica!
La mia esperienza mi ha portato a capire due cose relative alle campagne elettorali, anzi tre.
La prima è che se per il mondo la primavera comincia il 21 marzo, per me ha inizio solo quando sulla mia auto inizia ad aleggiare il profumo inconfondibile di tipografia che scaturisce dai manifesti freschi di stampa.
La seconda è che l'unica cosa che ti salva dal diventare un'isterica al limite della schizofrenia è avere qualcosa che ti sottrae per qualche ora alla settimana da questa baraonda di lavoro, riunioni, iniziative, volantinaggi e attacchinaggi.
La terza è che in quel periodo, tra attività politica e “doveroso svago” ti scordi il significato della parola riposo.
Ieri sera avevo programmato una "serata libera" e sono andata a godermi un piacevole concerto-intervista a uno dei miei cantautori preferiti. Ad accompagnare la star della serata c'era una giovane cantautrice da lui scoperta un paio d'anni fa. Presentandola ha evidenziato ironicamente quanto sia diverso il modo di esprimersi di una donna rispetto ad un uomo.
Proprio martedì stavo ragionando con altre donne sulla maledizione di Babele.
E' come se uomini e donne parlino linguaggi differenti che li rendono incapaci di comprendersi.
Mentre tornavo dalla mia serata “relax” mi sono trovata a pensare che Babele ha colpito anche la politica.
Il linguaggio tecnico, spesso usato più per dar lustro alla propria immagine più che per effettiva necessità, ha reso la classe politica un popolo incomprensibile dalla larga parte della gente comune.
Mi spiego meglio. Quando mi chiedono in cosa consiste il mio lavoro posso rispondere in due modi. In politichese direi “Consiste nel verificare la velocità di reazione tra gruppi isocianici e gruppi ossidrili durante la reazione di polimerizzazione di resine poliuretaniche”. Se invece mi svesto della miei panni di “illuminata della chimica” la risposta è: “Consiste nel verificare quanto tempo ci mette una colla a indurire”.
La maggior parte dei concetti espressi dalla politica potrebbe essere sensibilmente semplificato per essere fruibile da una maggior quantità di persone ma l'autoreferenzialità spinge quasi tutti i politici a parlare il loro complesso gergo per non sentirsi in qualche modo “inferiori” ai propri diretti interlocutori scordandosi che questi non sono gli altri politici ma la gente comune.
Sarà per questo che prediligo l'incontro con la gente rispetto al dibattito politico tra candidati. Non amo vestirmi dei panni della politica che intavola discorsi complessi e articolati che colpiscono principalmente per la loro incomprensibilità.
Io parlo come ho sempre fatto con i pensionati del circolo del paese, con i miei coetanei, con i miei compagni di partito.
“Scusate non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera”

venerdì 26 febbraio 2010

Il Fiume

Sveglia alle 6, doccia e colazione abbondante che non sappiamo cosa succederà durante la giornata e se e quando avrò modo di alimentarmi nuovamente.
Questa la premessa a ogni giornata quando si è in campagna elettorale.
In auto al lavoro (mezzi pubblici neanche a parlarne) ma per fortuna c’è sempre il
GPL a farmi sentire un po’ meno in colpa con l’ambiente.
Transitare tutte le mattine e tutte le sere sul Po è dolcemente romantico. Chi non è nato “sul Fiume” non può comprendere fino in fondo.


Da bambina, con i miei genitori e mio fratello maggiore, passavamo molte domeniche primaverili a bivaccare in qualche pioppeto lungo l’argine. Il Fiume era il luogo della tranquillità, della famiglia (con una mamma operaia in catena e un papà turnista in cementeria non era usuale trovarsi tutti intorno ad un tavolo per un pasto).
Ascoltavo discorsi che mi interessavano ma che non comprendevo fino in fondo. Mio padre e mio nonno che parlavano delle cave di ghiaia e del fatto che “i Verdi” non volessero che si dragasse il fiume. Loro sembravano preoccupati ma a me pareva giusto che si lasciassero la ghiaia, le piante e i pesci dov’erano (l’ingenuità dei bambini!).
Durante l’adolescenza mi scordai quei discorsi e Il Fiume fu solo il posto dove andare a passeggiare in bicicletta.

Nel 1994 il Po mi venne a far visita per ricordarmi che non si può far finta che certi discorsi sentiti da bambini non siano affar nostro. I danni subiti dalla casa dei miei genitori e da quella dei miei nonni a seguito dell’alluvione non furono ingenti ma ci furono.

Allora si cominciò a riparlare del Po ma con termini nuovi come “sicurezza del territorio”, “dissesto idrogeologico”, “salvaguardia ambientale”…

In fin dei conti si poteva sintetizzare il tutto in un concetto semplice. Il Fiume non è un bel gioiello da sfoggiare ma un essere vivente di cui prendersi cura. Se non lo si fa ci si deve aspettare di pagarne le conseguenze.

Nel 2000 i danni furono maggiori di quelli del ’94. Fummo costretti a lasciare le case per alcuni giorni.

Alcuni si riempirono la bocca di polemiche sterili, altri preferirono non occuparsi della questione, altri ancora si rimboccarono le maniche e progettarono un piano di conservazione del territorio e di messa in sicurezza del fiume.

Io, che ho sempre amato Il Fiume, cominciai a seguire più attentamente le politiche amministrative che riguardavano la sicurezza idraulica del nostro territorio.

Durante il mio percorso politico ho conosciuto altre persone che condividono con me l’interesse a un approccio razionale e rispettoso del problema della gestione del patrimonio fluviale del territorio della nostra provincia.
Questa è l’ultima nostra battaglia in ordine temporale.

Alla prossima!

mercoledì 24 febbraio 2010

Antefatto

"Avevo 16 anni, ero timida nei panni di un ribelle visto alla televisione..." e cominciai a frequentare assiduamente la sezione di Rifondazione Comunista di Casale Monferrato.
C'è chi a quell'età trova modi più divertenti per passare il tempo ma a me piaceva così.
A dire la verità non ci sono approdata a caso perchè illuminata sulla strada di Damasco.
Mio padre mi trascinava ovunque andasse e tra le mete dei suoi e miei pellegrinaggi figuravano spesso "La CGIL", "Il Partito" e "Il Laghetto" (si andava spesso a pescare insieme ma questa è un'altra storia).

Per quattro anni spesi molti pomeriggi (e anche parecchie mattine in cui reputavo superflua la mia presenza in classe) a leggere i quotidiani e commentarne le notizie con chi passava da quelle parti. D'accordo che le visioni complessive erano un po' di parte ma pensavo fosse comunque un buon modo per affinare la mia coscienza critica. Un'idea molto naif da studentessa qual'ero.

Così "cadeva la pioggia e segnavano i soli il ritmo dell' uomo e delle stagioni" finché si giunse all'ottobre del 1998, data ricordata come la peggiore delle maledizioni da tutto il popolo della sinistra. Cadeva il primo governo Prodi nonostante un gruppo di "valorosi" parlamentari PRC avessero provato in tutti i modi a salvare la barca che stava affondando. Quegli impavidi che avevano sfidato un destino già scritto e ineluttabile decisero di organizzarsi in una nuova formazione politica sotto la bandiera del "Partito di Lotta e di Governo".

Nasceva il PdCI a cui aderii da subito con entusiasmo (questa frase l'ho sentita pronunciare talmente tante volte a diversi livelli e in diversi contesti che penso sia diventata patrimonio genetico della classe politica italiana), nutrendo una forte stima per questi eroici compagni.

Militavo, partecipavo agli organi dirigenti locali e provinciali, mi prestavo come bassa manovalanza scarsamente qualificata per andare ad appiccicare manifesti elettorali a ore impensabili della notte e nel frattempo lavoravo.
Strano vero? A quei tempi non era mica da tutti aver voglia di uscire dalla fabbrica e andare a chiudersi in una stanzetta tetra e fumosa, specie se avevi vent'anni e una discreta vita sociale.

Attraverso il tempo e le peripezie politiche del mio ex-partito arrivai alla mia seconda "separazione" politica. Dopo il disastroso esperimento elettorale di "La Sinistra, l'Arcobaleno" mi convinsi che la strada che avevo imboccato nove anni prima non mi stava portando dove volevo andare e nei due anni successivi abbracciai l'idea di unità della sinistra, spendendomi anima e corpo (molto più corpo che anima vista la mia predilezione per il lavoro manuale) nel progetto che sarebbe poi diventato "Sinistra Ecologia e Libertà".

Intanto continuavo a lavorare in fabbrica. Scusate se lo sottolineo ancora ma la mia personale esperienza mi ha permesso di stabilire che la percentuale di "operai" che si occupano di politica a livelli superiori alla semplice militanza non è così elevata. Per non farmi mancare nulla avevo accettato una serie di incarichi un po' più impegnativi all'interno della mia organizzazione politica. Per esempio, non era infrequente che il venerdì uscissi dal lavoro per correre a casa a preparare la valigia che mi avrebbe accompagnata a Roma in occasione della convocazione del Comitato Centrale PdCI(che a ripensarci ora mi viene sempre in mente una canzone di Enrico Ruggeri), la quale mi avrebbe impegnato l'intero finesettimana per poi ritornare al lavoro il lunedì mattina più stanca di come fossi uscita il venerdì sera.

Ovviamente nel frattempo si sono susseguite numerose campagne elettorali nelle quali ho rivestito spesso il doppio ruolo di candidata e di "factotum". Dal coordinamento tra i candidati, alla preparazione della documentazione per la presentazione delle liste, alla raccolta delle firme, all'attacchinaggio... Stoica? No, un po' fessa... ma preferisco definirlo senso di responsabilità e realismo nel valutare le forze a disposizione.

Ed eccoci giunti ad oggi.

Candidata per il rinnovo del Consiglio Regionale del Piemonte.

Ancora una volta mi hanno chiesto di metterci la faccia e ancora una volta ho acconsentito a farlo perchè credo in quello che faccio.

Il blog elettorale è la moda del momento. Nel momento in cui una qualsiasi persona si mette in gioco in una qualsiasi tornata elettorale si costituisce subito un comitato di sostegno che si occupa di promuovere l'immagine del candidato attraverso quelli che chiamiamo "i nuovi media".

Io non ho un "Comitato Baucero" e quando mi hanno chiesto "Ma ce l'hai un blog? Sei su Facebook?" ho risposto: "Ma certo!".

Il dettaglio che è sfuggito è che su Facebook ci sono da un bel pezzo e non ci sono approdata per promuovere la mia candidatura e sui blog che ho aperto volevo parlare di me e della realtà che vedo intorno a me, non dei punti programmatici dalla lista che sostiene Mercedes Bresso.

E questo blog è questo. E' il mio spazio, un po' finestra da cui osservare quel che succede intorno e un po' vetrina in cui esporre non l'immagine ma la persona.

La timida ribelle di 16 anni diventata una donna giovane che prova a rivoluzionare, nel suo piccolo, i vecchi schemi della politica.

Da oggi comincia un racconto che durerà poco più di un mese (nella peggiore delle ipotesi!)