domenica 28 febbraio 2010

La scuola


Quando nascevi in un paese e i tuoi genitori, che lavoravano tutto il giorno, non avevano la possibilità o la sfrontatezza di “scaricarti” ai nonni per tutto il pomeriggio, la scelta quasi obbligata era di iscriverti a classi a “tempo pieno” (che a ripensarci ora a questa definizione non può sfuggirti l'assonanza con il termine full-time relativo al mondo del lavoro) o “a tempo prolungato”.
Alle elementari entravo a scuola ogni giorno alle 7:30 (al pre-scuola) e uscivo alle 17:30 (dopo essermi fatta la mia oretta di dopo-scuola). Alle medie la formula era un po' diversa; tre giorni alla settimana avevo lezione anche di pomeriggio, fino alle 16:30.
Per una bimbetta/ragazzina che era abituata a passare all'aperto gran parte della sua giornata, questa “segregazione” forzata aveva il sapore di una punizione divina.
Forse l'unica ragione per cui sono sopravvissuta a quell'esperienza di “restrizione della mia libertà” è che andare a scuola ad imparare mi piaceva un mondo!
Per quanto fossi piccola comprendevo che ogni ora passata dietro quei banchi mi trasmetteva qualcosa che magari non aveva un'applicazione pratica nell'immediato ma che sicuramente “da grande” avrei scoperto essere utile.
Le scuole erano grandi e rassicuranti come se fossero il riflesso delle persone che ci lavoravano. La scuola era il posto dove crescevo, dove avevo la possibilità di stare con i miei coetanei (abitando nella zona più periferica del paese, a ridosso dei campi coltivati, non avevo la possibilità di uscire di casa da sola per andare a casa di compagni di classe a fare i compiti) e dove imparavo le regole della convivenza e della democrazia.
Più volte, ascoltando racconti di scuola di amici, mi sono sentita fortunata ad aver avuto insegnanti preparati, capaci, coinvolgenti che avevano saputo guidarmi lungo quegli anni esaltando le mie potenzialità e spronandomi a migliorarmi e di aver beneficiato di strutture adeguate in cui era possibile affiancare allo studio una serie di attività collaterali non meno formative.
Mi chiedo spesso se oggi l'evoluzione degli schemi d'insegnamento renda ancora possibile, per i bambini, approcciare la scuola nello stesso modo in cui l'ho fatto io e allora chiedo ai figli di amici di descrivermi com'è la loro scuola, di dirmi cosa imparano. Dai racconti mi sembra di intuire una scuola che è sempre più simile ai miei corsi di aggiornamento o di formazione. Nozioni slegate da un contesto generale utili solo a formare professionalmente ma non culturalmente.
Mi chiedo come sia possibile ipotizzare una scuola che cresca persone complete sia dal lato professionale che da quello sociale a fronte di continui tagli di spesa e di mancati investimenti nella formazione dei docenti che riducono progressivamente la qualità di un servizio che dovremmo ricordarci essere principalmente un diritto.
Temo di conoscere la risposta e non mi piace per niente.

sabato 27 febbraio 2010

Babele


La vita di una candidata, vivaddio, non è fatta di sola politica!
La mia esperienza mi ha portato a capire due cose relative alle campagne elettorali, anzi tre.
La prima è che se per il mondo la primavera comincia il 21 marzo, per me ha inizio solo quando sulla mia auto inizia ad aleggiare il profumo inconfondibile di tipografia che scaturisce dai manifesti freschi di stampa.
La seconda è che l'unica cosa che ti salva dal diventare un'isterica al limite della schizofrenia è avere qualcosa che ti sottrae per qualche ora alla settimana da questa baraonda di lavoro, riunioni, iniziative, volantinaggi e attacchinaggi.
La terza è che in quel periodo, tra attività politica e “doveroso svago” ti scordi il significato della parola riposo.
Ieri sera avevo programmato una "serata libera" e sono andata a godermi un piacevole concerto-intervista a uno dei miei cantautori preferiti. Ad accompagnare la star della serata c'era una giovane cantautrice da lui scoperta un paio d'anni fa. Presentandola ha evidenziato ironicamente quanto sia diverso il modo di esprimersi di una donna rispetto ad un uomo.
Proprio martedì stavo ragionando con altre donne sulla maledizione di Babele.
E' come se uomini e donne parlino linguaggi differenti che li rendono incapaci di comprendersi.
Mentre tornavo dalla mia serata “relax” mi sono trovata a pensare che Babele ha colpito anche la politica.
Il linguaggio tecnico, spesso usato più per dar lustro alla propria immagine più che per effettiva necessità, ha reso la classe politica un popolo incomprensibile dalla larga parte della gente comune.
Mi spiego meglio. Quando mi chiedono in cosa consiste il mio lavoro posso rispondere in due modi. In politichese direi “Consiste nel verificare la velocità di reazione tra gruppi isocianici e gruppi ossidrili durante la reazione di polimerizzazione di resine poliuretaniche”. Se invece mi svesto della miei panni di “illuminata della chimica” la risposta è: “Consiste nel verificare quanto tempo ci mette una colla a indurire”.
La maggior parte dei concetti espressi dalla politica potrebbe essere sensibilmente semplificato per essere fruibile da una maggior quantità di persone ma l'autoreferenzialità spinge quasi tutti i politici a parlare il loro complesso gergo per non sentirsi in qualche modo “inferiori” ai propri diretti interlocutori scordandosi che questi non sono gli altri politici ma la gente comune.
Sarà per questo che prediligo l'incontro con la gente rispetto al dibattito politico tra candidati. Non amo vestirmi dei panni della politica che intavola discorsi complessi e articolati che colpiscono principalmente per la loro incomprensibilità.
Io parlo come ho sempre fatto con i pensionati del circolo del paese, con i miei coetanei, con i miei compagni di partito.
“Scusate non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera”

venerdì 26 febbraio 2010

Il Fiume

Sveglia alle 6, doccia e colazione abbondante che non sappiamo cosa succederà durante la giornata e se e quando avrò modo di alimentarmi nuovamente.
Questa la premessa a ogni giornata quando si è in campagna elettorale.
In auto al lavoro (mezzi pubblici neanche a parlarne) ma per fortuna c’è sempre il
GPL a farmi sentire un po’ meno in colpa con l’ambiente.
Transitare tutte le mattine e tutte le sere sul Po è dolcemente romantico. Chi non è nato “sul Fiume” non può comprendere fino in fondo.


Da bambina, con i miei genitori e mio fratello maggiore, passavamo molte domeniche primaverili a bivaccare in qualche pioppeto lungo l’argine. Il Fiume era il luogo della tranquillità, della famiglia (con una mamma operaia in catena e un papà turnista in cementeria non era usuale trovarsi tutti intorno ad un tavolo per un pasto).
Ascoltavo discorsi che mi interessavano ma che non comprendevo fino in fondo. Mio padre e mio nonno che parlavano delle cave di ghiaia e del fatto che “i Verdi” non volessero che si dragasse il fiume. Loro sembravano preoccupati ma a me pareva giusto che si lasciassero la ghiaia, le piante e i pesci dov’erano (l’ingenuità dei bambini!).
Durante l’adolescenza mi scordai quei discorsi e Il Fiume fu solo il posto dove andare a passeggiare in bicicletta.

Nel 1994 il Po mi venne a far visita per ricordarmi che non si può far finta che certi discorsi sentiti da bambini non siano affar nostro. I danni subiti dalla casa dei miei genitori e da quella dei miei nonni a seguito dell’alluvione non furono ingenti ma ci furono.

Allora si cominciò a riparlare del Po ma con termini nuovi come “sicurezza del territorio”, “dissesto idrogeologico”, “salvaguardia ambientale”…

In fin dei conti si poteva sintetizzare il tutto in un concetto semplice. Il Fiume non è un bel gioiello da sfoggiare ma un essere vivente di cui prendersi cura. Se non lo si fa ci si deve aspettare di pagarne le conseguenze.

Nel 2000 i danni furono maggiori di quelli del ’94. Fummo costretti a lasciare le case per alcuni giorni.

Alcuni si riempirono la bocca di polemiche sterili, altri preferirono non occuparsi della questione, altri ancora si rimboccarono le maniche e progettarono un piano di conservazione del territorio e di messa in sicurezza del fiume.

Io, che ho sempre amato Il Fiume, cominciai a seguire più attentamente le politiche amministrative che riguardavano la sicurezza idraulica del nostro territorio.

Durante il mio percorso politico ho conosciuto altre persone che condividono con me l’interesse a un approccio razionale e rispettoso del problema della gestione del patrimonio fluviale del territorio della nostra provincia.
Questa è l’ultima nostra battaglia in ordine temporale.

Alla prossima!

mercoledì 24 febbraio 2010

Antefatto

"Avevo 16 anni, ero timida nei panni di un ribelle visto alla televisione..." e cominciai a frequentare assiduamente la sezione di Rifondazione Comunista di Casale Monferrato.
C'è chi a quell'età trova modi più divertenti per passare il tempo ma a me piaceva così.
A dire la verità non ci sono approdata a caso perchè illuminata sulla strada di Damasco.
Mio padre mi trascinava ovunque andasse e tra le mete dei suoi e miei pellegrinaggi figuravano spesso "La CGIL", "Il Partito" e "Il Laghetto" (si andava spesso a pescare insieme ma questa è un'altra storia).

Per quattro anni spesi molti pomeriggi (e anche parecchie mattine in cui reputavo superflua la mia presenza in classe) a leggere i quotidiani e commentarne le notizie con chi passava da quelle parti. D'accordo che le visioni complessive erano un po' di parte ma pensavo fosse comunque un buon modo per affinare la mia coscienza critica. Un'idea molto naif da studentessa qual'ero.

Così "cadeva la pioggia e segnavano i soli il ritmo dell' uomo e delle stagioni" finché si giunse all'ottobre del 1998, data ricordata come la peggiore delle maledizioni da tutto il popolo della sinistra. Cadeva il primo governo Prodi nonostante un gruppo di "valorosi" parlamentari PRC avessero provato in tutti i modi a salvare la barca che stava affondando. Quegli impavidi che avevano sfidato un destino già scritto e ineluttabile decisero di organizzarsi in una nuova formazione politica sotto la bandiera del "Partito di Lotta e di Governo".

Nasceva il PdCI a cui aderii da subito con entusiasmo (questa frase l'ho sentita pronunciare talmente tante volte a diversi livelli e in diversi contesti che penso sia diventata patrimonio genetico della classe politica italiana), nutrendo una forte stima per questi eroici compagni.

Militavo, partecipavo agli organi dirigenti locali e provinciali, mi prestavo come bassa manovalanza scarsamente qualificata per andare ad appiccicare manifesti elettorali a ore impensabili della notte e nel frattempo lavoravo.
Strano vero? A quei tempi non era mica da tutti aver voglia di uscire dalla fabbrica e andare a chiudersi in una stanzetta tetra e fumosa, specie se avevi vent'anni e una discreta vita sociale.

Attraverso il tempo e le peripezie politiche del mio ex-partito arrivai alla mia seconda "separazione" politica. Dopo il disastroso esperimento elettorale di "La Sinistra, l'Arcobaleno" mi convinsi che la strada che avevo imboccato nove anni prima non mi stava portando dove volevo andare e nei due anni successivi abbracciai l'idea di unità della sinistra, spendendomi anima e corpo (molto più corpo che anima vista la mia predilezione per il lavoro manuale) nel progetto che sarebbe poi diventato "Sinistra Ecologia e Libertà".

Intanto continuavo a lavorare in fabbrica. Scusate se lo sottolineo ancora ma la mia personale esperienza mi ha permesso di stabilire che la percentuale di "operai" che si occupano di politica a livelli superiori alla semplice militanza non è così elevata. Per non farmi mancare nulla avevo accettato una serie di incarichi un po' più impegnativi all'interno della mia organizzazione politica. Per esempio, non era infrequente che il venerdì uscissi dal lavoro per correre a casa a preparare la valigia che mi avrebbe accompagnata a Roma in occasione della convocazione del Comitato Centrale PdCI(che a ripensarci ora mi viene sempre in mente una canzone di Enrico Ruggeri), la quale mi avrebbe impegnato l'intero finesettimana per poi ritornare al lavoro il lunedì mattina più stanca di come fossi uscita il venerdì sera.

Ovviamente nel frattempo si sono susseguite numerose campagne elettorali nelle quali ho rivestito spesso il doppio ruolo di candidata e di "factotum". Dal coordinamento tra i candidati, alla preparazione della documentazione per la presentazione delle liste, alla raccolta delle firme, all'attacchinaggio... Stoica? No, un po' fessa... ma preferisco definirlo senso di responsabilità e realismo nel valutare le forze a disposizione.

Ed eccoci giunti ad oggi.

Candidata per il rinnovo del Consiglio Regionale del Piemonte.

Ancora una volta mi hanno chiesto di metterci la faccia e ancora una volta ho acconsentito a farlo perchè credo in quello che faccio.

Il blog elettorale è la moda del momento. Nel momento in cui una qualsiasi persona si mette in gioco in una qualsiasi tornata elettorale si costituisce subito un comitato di sostegno che si occupa di promuovere l'immagine del candidato attraverso quelli che chiamiamo "i nuovi media".

Io non ho un "Comitato Baucero" e quando mi hanno chiesto "Ma ce l'hai un blog? Sei su Facebook?" ho risposto: "Ma certo!".

Il dettaglio che è sfuggito è che su Facebook ci sono da un bel pezzo e non ci sono approdata per promuovere la mia candidatura e sui blog che ho aperto volevo parlare di me e della realtà che vedo intorno a me, non dei punti programmatici dalla lista che sostiene Mercedes Bresso.

E questo blog è questo. E' il mio spazio, un po' finestra da cui osservare quel che succede intorno e un po' vetrina in cui esporre non l'immagine ma la persona.

La timida ribelle di 16 anni diventata una donna giovane che prova a rivoluzionare, nel suo piccolo, i vecchi schemi della politica.

Da oggi comincia un racconto che durerà poco più di un mese (nella peggiore delle ipotesi!)