martedì 30 marzo 2010
Grazie, ma non è finita qui
venerdì 26 marzo 2010
Voto utile

giovedì 25 marzo 2010
Io, nel bene e nel male
mercoledì 24 marzo 2010
Diritti consapevoli

martedì 23 marzo 2010
domenica 21 marzo 2010
Non solo nero su bianco
sabato 20 marzo 2010
Eco-conti
Ok, di per se la cosa non è molto qualificante ma dietro a questa verità assoluta ci stanno un paio di ragionamenti laterali.
Il primo è che, se impari a scegliere come vestirti e stendi gli indumenti con un minimo di cognizione, puoi lasciare il ferro da stiro nel ripostiglio e risparmiarti almeno un'ora alla settimana per fare qualcosa di più piacevole come leggerti qualche pagina di un buon libro.
La seconda è che, per quanto un ferro da stiro non consumi una quantità di corrente elettrica stratosferica, quattro ore di mancato utilizzo in un mese sono un bel risparmio sia dal punto di vista economico che "ecologico".
Gironzolando sul web mi sono imbattuta in questo sito che ha un eco-contatore che permette di valutare il proprio impatto ambientale e ho deciso di verificare quanto costo all'ambiente.
Questi i risultati:
La mia routine (andare al lavoro in auto, farmi qualche giro in moto, lavarmi, lavare, cucinare e mangiare):
L'attività politica sulla regione (ho considerato Torino come media chilometrica e stimo circa un viaggio ogni 2 settimane):
Attività politica sulla provincia (questa volta la media chilometrica è stimata su Novi Ligure con una frequenza settimanale):
A conti fatti devo all'ambiente annualmente: 321.75 + (1.80 x 26) + (1.35 x 52) = 438.75 euro di investimenti sulla riforestazione.
Diciamo che, siccome voglio stare dalla parte della ragione, ho deciso di azzerare il mio impatto ambientale investendo per un anno 40 euro mensili nel progetto di riforestazione dei nostri parchi e cercherò, nel frattempo, di diminuire il mio impatto ambientale, giusto per non essere "ecologisti" solo a parole.
Tra un anno farò un nuovo bilancio e se sarò stata brava avrò risparmiato le risorse ambientali e soprattutto un pezzo del mio stipendio e in questo caso più che mai "pecunia non olet".
venerdì 19 marzo 2010
giovedì 18 marzo 2010
Accadueo

E' parte integrante del proprio essere, è come un organo, anzi, è di più, è come il sangue che ci scorre nelle vene. Un suono/sangue fatto di parole, di note, di melodia così come il nostro sangue è fatto di cellule, di sostanze e d'acqua.
In tempi in cui tanto si parla di acqua pubblica e acqua privata fa specie pensare che il settanta percento circa del nostro corpo è costituito da un bene che potrebbe non essere più di nostra proprietà. Ma aspetta, a pensarci bene, io sono la proprietaria dell'acqua che sta nel mio corpo perchè in qualche modo l'ho acquistata e quando la rimetto in circolo dopo la "trasformazione" qualcuno dovrebbe pagarmi. Non funziona così? Ah, dite di no? E mi spiegate perchè noi dobbiamo sempre comprare quella degli altri e nessuno si compra mai la nostra?
Lo so che la battuta non è un gran che e la questione è seria quindi, riprendiamo un minimo di contegno e proviamo a ragionare.
Il 97% dell'acqua che c'è sul nostro pianeta è salata, il 2% è sotto forma di ghiaccio e l'1% sono acque dolci superficiali e sotterranee. Il 90% di queste sono destinate all'utilizzo nell'industria a nell'agricoltura e solo il 10% è destinato all'impiego per l'uomo.
A far discutere i politici di tutt'Italia da un anno a questa parte è quindi qualcosa tipo un "misero" 0.1% di tutta l'acqua che c'è sul pianeta.
Sotto accusa, quando si parla di acqua pubblica, sono come al solito gli sprechi e le inefficienze che, uniti alla volontà di mantenere il più basso possibile il costo di un servizio essenziale, rappresentano spesso una voce in passivo nei bilanci delle aziende pubbliche che ne gestiscono la fornitura.
Quando si ragiona invece di servizi privatizzati, normalmente si associano a questo termine quelli di efficienza e libera concorrenza.
Vorrei fare un passo indietro e chiedere, a chi ha un'età per farlo, di ricordarsi i tempi della SIP, i tempi in cui le telefonate erano urbane, e costavano 200 lire, o interurbane e dovevano durare poco perchè "costavano parecchio" (anche 600 lire sei minuti di telefonata!). Quando la linea vi si guastava andavate dal vicino, facevate una telefonata a cui rispondeva una gentile signorina e al massimo il giorno dopo (ma più spesso nel giro di poche ore) potevate nuovamente telefonare.
Quanti di voi hanno avuto la sventura di relazionarsi con il risponditore automatico di Telecom per la segnalazione dei guasti e poi con il customer service che puntualmente non riesce a trovare il ticket della segnalazione che hai aperto due giorni prima e nel frattempo ha rosicato perchè stava pagando un cacchio di abbonamento flat e non poteva usufruire del servizio per motivi che trascendevano la tua volontà e comprensione?
Ok, chiusa parentesi. Premesso che so benissimo che gestire le reti idrica e telefonica sono due cose differenti (ovvio, senza telefono campi e forse anche meglio che con il telefono ma senz'acqua non ci puoi stare), premesso che il fine stesso di un'impresa è il lucro (mica sono associazioni di volontariato), premesso che abbiamo avuto già un discreto numero di esempi di privatizzazioni che sono sfociate in oligopoli in cui la costituzione di un cartello non necessita di telefonate compromettenti tra imprenditori, ve la sentite di giocare questa partita scommettendo su un esito le cui probabilità di realizzarsi sono minime.
Ho un'idea in testa: pagare per pagare, preferisco che il mio denaro finisca nelle mani di una società pubblica che ha l'obbligo di reinvestire una buona percentuale degli utili nel miglioramento del servizio fornito, piuttosto che lasciarli in mano a un privato sicuramente molto scaltro in fatto a trovare il modo di eludere eventuali vigilanze sul reinvestimento degli utili.
Come disse qualcuno (e sta volta non faccio riferimento alla mia tradizione politica per la citazione), "A pensar male si fa peccato ma s'indovina quasi sempre".
mercoledì 17 marzo 2010
Congiuntivo imperfetto

Ma nel nostro mondo imperfetto il volontariato è per molti versi la chiave di volta che sorregge interi sistemi di servizi.
Dalla tutela dei diritti, alla salvaguardia dell'ambiente, al supporto socio-sanitario, alla sicurezza, molti dei servizi che dovrebbero essere prerogativa di uno Stato efficiente vengono demandati ad associazioni di volontari che decidono di dedicare una fetta del proprio tempo e delle proprie risorse economiche al prossimo.
Per certi aspetti, pensare che lo spirito altruistico nel nostro paese sia ancora abbastanza sviluppato da fare in modo che continuino ad esistere associazioni di volontariato, è rassicurante ma ci si deve domandare quanto ancora potrà durare.
Il modello sociale che sta prendendo piede è di segno totalmente opposto ed è schematizzato in modo molto efficace in una canzone (ah, che bella la nostra tradizione delle canzoni di denuncia) che sostiene la teoria per la quale "l'uomo forte si nutre del debole che poi sul debole a sua volta si vendica".
L'animale sociale "uomo" spinto all'esasperazione, come ogni altra bestia, dimentica la solidarietà tra simili e si adatta alla legge della giungla in cui solo il più forte sopravvive e ognuno pensa per se.
Il volontariato non è una dote innata che alcuni hanno e altri no ma è frutto di una miscela di sensibilità individuale e condizione sociale.
E' possibile immaginare che una ragazza che si paga da sola l'università facendo la cameriera in un pub, obbligata a dedicare tutto l'impegno possibile allo studio per essere certa di passare tutti gli esami al primo appello visto che ogni fallimento significa ulteriore denaro che dovrà spendere per conseguire la laurea, si ritagli qualche ora alla settimana per andare a fare la spesa per l'anziana signora del palazzo che ha difficoltà a camminare?
E' possibile immaginare che un giovane uomo, costretto a svolgere un doppio lavoro per mantenere la sua famiglia e pagare l'asilo del figlio, decida di sfruttare il suo "tempo libero" per attività diverse dal riposo?
Il volontariato è nato sul terreno fertile di una condizione sociale generalmente discreta ma rischia di appassire per mano di chi ad esso ha delegato con superficialità molti dei propri doveri.
Porsi delle domande è l'azione migliore che un politico possa compiere. Io lo faccio quotidianamente e le stesse domande a cui cerco una risposta, le pongo a chi mi sta intorno.
Quale tra la costruzione di un ponte che colleghi Calabria e Sicilia inondando le tasche della criminalità organizzata di denaro e l'investimento di risorse per sostenere i cittadini a reddito più basso è la Grande Opera?
Io un'idea ce l'ho ma si sa, noi di sinistra abbiamo certe fissazioni del tipo che il benessere della gente conta più degli interessi economici di certi imprenditori.
E comunque, sai quanta gente ci sta sotto un ponte lungo cinque chilometri?
martedì 16 marzo 2010
La dignità del cane

lunedì 15 marzo 2010
Pre-cariato

sabato 13 marzo 2010
Reale
venerdì 12 marzo 2010
In sanità

giovedì 11 marzo 2010
Etoile

mercoledì 10 marzo 2010
La strada

Polvere

lunedì 8 marzo 2010
Chi dice Donna...

sabato 6 marzo 2010
E poi? Ma vaff..

venerdì 5 marzo 2010
Il "nocciolo" della questione

I pomodori erano i miei prediletti, osservavo attentamente ognuno di loro prima di scegliere quale cogliere e divorare sul momento, ancora caldo di sole e un filo impolverato.
La primavera e l’estate dell’86 mi insegnarono quanto gustosa fosse la verdura che coltivavamo in casa in confronto a quella del supermercato. Fui costretta ad impararlo perché quella primavera e quell’estate non mi fu permesso di mangiare nulla di quello che maturava nel nostro orto e io camminavo desolata osservando le fragole che sembravano chiamarmi e stramaledicendo quella “nuvola” che “forse ha portato le radiazioni fino a qui” e che faceva dire ai telegiornali “è opportuno, a scopo preventivo, evitare di consumare frutta e verdura di propria produzione per via del rischio che sia stata contaminata”.
Di nucleare non se ne parlava molto in casa, certo si sapeva che c’era la centrale di Trino e che l’acqua riscaldata che veniva immessa nel Po faceva si che i pesci morissero e che non si potesse più pescare in quella zona ma nulla di più.
Dal 26 aprile 1986, per più di un anno, a casa mia si discusse quasi ogni giorno di Chernobyl e di Trino e quando, nel novembre del 1987, il referendum sancì l’abbandono del nucleare come fonte di produzione di energia, si festeggiò a lungo. Sembrava che tutti si sentissero davvero più sicuri, come se il fatto di non avere centrali “in casa” rendesse contestualmente più lontane quelle francesi o svizzere.
Io non mi sentivo più tranquilla. Se Chernobyl mi aveva impedito di mangiare le mie albicocche e le mie pesche, cosa sarebbe successo se a guastarsi fosse stata una centrale più vicina a casa nostra?
Poi, come sempre accade agli uomini, l’inquietudine dovuta a un rischio non prevedibile, scomparve lentamente seppellita da altri interessi e altri problemi.
Dopo il diploma trovai lavoro a Trino e parlando con i miei colleghi scoprii che la centrale, nonostante fosse chiusa da anni, sembrava mietere ancora molte vittime tra chi abitava nella zona.
Ascoltando i loro racconti che parlavano di amici e famigliari che avevano sviluppato diverse forme di neoplasie cominciai a risentire quell’inquietudine che avevo provato da bambina.
Credo che la paura sia il sentimento più distruttivo che si possa provare e l’idea di convivere per tutta la propria esistenza con la paura sia una delle pene peggiori a cui si può condannare una persona.
La produzione di energia attraverso il nucleare comporta seri rischi intrinsechi nella natura stessa del ciclo produttivo, dall’arricchimento del materiale radioattivo al suo utilizzo fino allo smaltimento delle scorie.
Io non voglio vivere nella paura che qualcosa non vada per il verso giusto.
Io non voglio vivere pensando che qualcuno mi vuole sfilare delicatamente il cuscino da sotto la faccia sostituendolo con una bomba per poi augurarmi la buona notte.
Io sono sveglia e non mi addormenterò finchè ci sarà qualcuno con quella bomba vicino al mio letto.
Io vigilo e sono contenta di non essere l’unica insonne in questa notte.
giovedì 4 marzo 2010
Scienza e coscienza
A presto.
mercoledì 3 marzo 2010
Libero-Proprietario

Funziona un po’ come la meditazione. Apro un telo bianco sul mio pensiero razionale in modo da azzerarlo e comincio a riesaminare la giornata lasciando scorrere il flusso di pensieri per vedere dove va a parare.
Qualche volta arrivo lontanissima da dove sono partita, altre volte mi fermo dopo il primo passo.
Oggi mi sono fermata prima ancora di partire. Sono rimasta a fissare le icone del mio notebook come un mistico che abbia appena ricevuto l’illuminazione (e non per merito di qualche gestore della rete elettrica).
Sparpagliate sul monitor c’erano le icone di collegamento ai file e ai programmi che uso più frequentemente. Tra tante piccole immagini famigliari alla stragrande maggioranza del “popolo informatico”, ne spiccavano alcune molto meno note.
Da Wikipedia (che io chiamo amichevolmente info-sophia)
Con il termine software proprietario si indica quel software che ha restrizioni sul suo utilizzo, sulla sua modifica, riproduzione o ridistribuzione, solitamente imposti da un proprietario. Queste restrizioni vengono ottenute tramite mezzi tecnici o legali.
A tal proposito.
martedì 2 marzo 2010
Multi-nazionale

lunedì 1 marzo 2010
La Legge

domenica 28 febbraio 2010
La scuola

sabato 27 febbraio 2010
Babele

La vita di una candidata, vivaddio, non è fatta di sola politica!
La mia esperienza mi ha portato a capire due cose relative alle campagne elettorali, anzi tre.
La prima è che se per il mondo la primavera comincia il 21 marzo, per me ha inizio solo quando sulla mia auto inizia ad aleggiare il profumo inconfondibile di tipografia che scaturisce dai manifesti freschi di stampa.
La seconda è che l'unica cosa che ti salva dal diventare un'isterica al limite della schizofrenia è avere qualcosa che ti sottrae per qualche ora alla settimana da questa baraonda di lavoro, riunioni, iniziative, volantinaggi e attacchinaggi.
La terza è che in quel periodo, tra attività politica e “doveroso svago” ti scordi il significato della parola riposo.
Ieri sera avevo programmato una "serata libera" e sono andata a godermi un piacevole concerto-intervista a uno dei miei cantautori preferiti. Ad accompagnare la star della serata c'era una giovane cantautrice da lui scoperta un paio d'anni fa. Presentandola ha evidenziato ironicamente quanto sia diverso il modo di esprimersi di una donna rispetto ad un uomo.
Proprio martedì stavo ragionando con altre donne sulla maledizione di Babele.
E' come se uomini e donne parlino linguaggi differenti che li rendono incapaci di comprendersi.
Mentre tornavo dalla mia serata “relax” mi sono trovata a pensare che Babele ha colpito anche la politica.
Il linguaggio tecnico, spesso usato più per dar lustro alla propria immagine più che per effettiva necessità, ha reso la classe politica un popolo incomprensibile dalla larga parte della gente comune.
Mi spiego meglio. Quando mi chiedono in cosa consiste il mio lavoro posso rispondere in due modi. In politichese direi “Consiste nel verificare la velocità di reazione tra gruppi isocianici e gruppi ossidrili durante la reazione di polimerizzazione di resine poliuretaniche”. Se invece mi svesto della miei panni di “illuminata della chimica” la risposta è: “Consiste nel verificare quanto tempo ci mette una colla a indurire”.
La maggior parte dei concetti espressi dalla politica potrebbe essere sensibilmente semplificato per essere fruibile da una maggior quantità di persone ma l'autoreferenzialità spinge quasi tutti i politici a parlare il loro complesso gergo per non sentirsi in qualche modo “inferiori” ai propri diretti interlocutori scordandosi che questi non sono gli altri politici ma la gente comune.
Sarà per questo che prediligo l'incontro con la gente rispetto al dibattito politico tra candidati. Non amo vestirmi dei panni della politica che intavola discorsi complessi e articolati che colpiscono principalmente per la loro incomprensibilità.
Io parlo come ho sempre fatto con i pensionati del circolo del paese, con i miei coetanei, con i miei compagni di partito.
“Scusate non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera”

venerdì 26 febbraio 2010
Il Fiume
Questa la premessa a ogni giornata quando si è in campagna elettorale.
In auto al lavoro (mezzi pubblici neanche a parlarne) ma per fortuna c’è sempre il GPL a farmi sentire un po’ meno in colpa con l’ambiente.
Transitare tutte le mattine e tutte le sere sul Po è dolcemente romantico. Chi non è nato “sul Fiume” non può comprendere fino in fondo.

Da bambina, con i miei genitori e mio fratello maggiore, passavamo molte domeniche primaverili a bivaccare in qualche pioppeto lungo l’argine. Il Fiume era il luogo della tranquillità, della famiglia (con una mamma operaia in catena e un papà turnista in cementeria non era usuale trovarsi tutti intorno ad un tavolo per un pasto).
Ascoltavo discorsi che mi interessavano ma che non comprendevo fino in fondo. Mio padre e mio nonno che parlavano delle cave di ghiaia e del fatto che “i Verdi” non volessero che si dragasse il fiume. Loro sembravano preoccupati ma a me pareva giusto che si lasciassero la ghiaia, le piante e i pesci dov’erano (l’ingenuità dei bambini!).
Durante l’adolescenza mi scordai quei discorsi e Il Fiume fu solo il posto dove andare a passeggiare in bicicletta.
Nel 1994 il Po mi venne a far visita per ricordarmi che non si può far finta che certi discorsi sentiti da bambini non siano affar nostro. I danni subiti dalla casa dei miei genitori e da quella dei miei nonni a seguito dell’alluvione non furono ingenti ma ci furono.
Allora si cominciò a riparlare del Po ma con termini nuovi come “sicurezza del territorio”, “dissesto idrogeologico”, “salvaguardia ambientale”…
In fin dei conti si poteva sintetizzare il tutto in un concetto semplice. Il Fiume non è un bel gioiello da sfoggiare ma un essere vivente di cui prendersi cura. Se non lo si fa ci si deve aspettare di pagarne le conseguenze.
Nel 2000 i danni furono maggiori di quelli del ’94. Fummo costretti a lasciare le case per alcuni giorni.
Alcuni si riempirono la bocca di polemiche sterili, altri preferirono non occuparsi della questione, altri ancora si rimboccarono le maniche e progettarono un piano di conservazione del territorio e di messa in sicurezza del fiume.
Io, che ho sempre amato Il Fiume, cominciai a seguire più attentamente le politiche amministrative che riguardavano la sicurezza idraulica del nostro territorio.
Durante il mio percorso politico ho conosciuto altre persone che condividono con me l’interesse a un approccio razionale e rispettoso del problema della gestione del patrimonio fluviale del territorio della nostra provincia. Questa è l’ultima nostra battaglia in ordine temporale.
Alla prossima!
mercoledì 24 febbraio 2010
Antefatto
C'è chi a quell'età trova modi più divertenti per passare il tempo ma a me piaceva così.
A dire la verità non ci sono approdata a caso perchè illuminata sulla strada di Damasco.
Mio padre mi trascinava ovunque andasse e tra le mete dei suoi e miei pellegrinaggi figuravano spesso "La CGIL", "Il Partito" e "Il Laghetto" (si andava spesso a pescare insieme ma questa è un'altra storia).
Per quattro anni spesi molti pomeriggi (e anche parecchie mattine in cui reputavo superflua la mia presenza in classe) a leggere i quotidiani e commentarne le notizie con chi passava da quelle parti. D'accordo che le visioni complessive erano un po' di parte ma pensavo fosse comunque un buon modo per affinare la mia coscienza critica. Un'idea molto naif da studentessa qual'ero.
Così "cadeva la pioggia e segnavano i soli il ritmo dell' uomo e delle stagioni" finché si giunse all'ottobre del 1998, data ricordata come la peggiore delle maledizioni da tutto il popolo della sinistra. Cadeva il primo governo Prodi nonostante un gruppo di "valorosi" parlamentari PRC avessero provato in tutti i modi a salvare la barca che stava affondando. Quegli impavidi che avevano sfidato un destino già scritto e ineluttabile decisero di organizzarsi in una nuova formazione politica sotto la bandiera del "Partito di Lotta e di Governo".
Nasceva il PdCI a cui aderii da subito con entusiasmo (questa frase l'ho sentita pronunciare talmente tante volte a diversi livelli e in diversi contesti che penso sia diventata patrimonio genetico della classe politica italiana), nutrendo una forte stima per questi eroici compagni.
Militavo, partecipavo agli organi dirigenti locali e provinciali, mi prestavo come bassa manovalanza scarsamente qualificata per andare ad appiccicare manifesti elettorali a ore impensabili della notte e nel frattempo lavoravo.
Strano vero? A quei tempi non era mica da tutti aver voglia di uscire dalla fabbrica e andare a chiudersi in una stanzetta tetra e fumosa, specie se avevi vent'anni e una discreta vita sociale.
Attraverso il tempo e le peripezie politiche del mio ex-partito arrivai alla mia seconda "separazione" politica. Dopo il disastroso esperimento elettorale di "La Sinistra, l'Arcobaleno" mi convinsi che la strada che avevo imboccato nove anni prima non mi stava portando dove volevo andare e nei due anni successivi abbracciai l'idea di unità della sinistra, spendendomi anima e corpo (molto più corpo che anima vista la mia predilezione per il lavoro manuale) nel progetto che sarebbe poi diventato "Sinistra Ecologia e Libertà".
Intanto continuavo a lavorare in fabbrica. Scusate se lo sottolineo ancora ma la mia personale esperienza mi ha permesso di stabilire che la percentuale di "operai" che si occupano di politica a livelli superiori alla semplice militanza non è così elevata. Per non farmi mancare nulla avevo accettato una serie di incarichi un po' più impegnativi all'interno della mia organizzazione politica. Per esempio, non era infrequente che il venerdì uscissi dal lavoro per correre a casa a preparare la valigia che mi avrebbe accompagnata a Roma in occasione della convocazione del Comitato Centrale PdCI(che a ripensarci ora mi viene sempre in mente una canzone di Enrico Ruggeri), la quale mi avrebbe impegnato l'intero finesettimana per poi ritornare al lavoro il lunedì mattina più stanca di come fossi uscita il venerdì sera.
Ovviamente nel frattempo si sono susseguite numerose campagne elettorali nelle quali ho rivestito spesso il doppio ruolo di candidata e di "factotum". Dal coordinamento tra i candidati, alla preparazione della documentazione per la presentazione delle liste, alla raccolta delle firme, all'attacchinaggio... Stoica? No, un po' fessa... ma preferisco definirlo senso di responsabilità e realismo nel valutare le forze a disposizione.
Ed eccoci giunti ad oggi.
Candidata per il rinnovo del Consiglio Regionale del Piemonte.
Ancora una volta mi hanno chiesto di metterci la faccia e ancora una volta ho acconsentito a farlo perchè credo in quello che faccio.
Il blog elettorale è la moda del momento. Nel momento in cui una qualsiasi persona si mette in gioco in una qualsiasi tornata elettorale si costituisce subito un comitato di sostegno che si occupa di promuovere l'immagine del candidato attraverso quelli che chiamiamo "i nuovi media".
Io non ho un "Comitato Baucero" e quando mi hanno chiesto "Ma ce l'hai un blog? Sei su Facebook?" ho risposto: "Ma certo!".
Il dettaglio che è sfuggito è che su Facebook ci sono da un bel pezzo e non ci sono approdata per promuovere la mia candidatura e sui blog che ho aperto volevo parlare di me e della realtà che vedo intorno a me, non dei punti programmatici dalla lista che sostiene Mercedes Bresso.
E questo blog è questo. E' il mio spazio, un po' finestra da cui osservare quel che succede intorno e un po' vetrina in cui esporre non l'immagine ma la persona.
La timida ribelle di 16 anni diventata una donna giovane che prova a rivoluzionare, nel suo piccolo, i vecchi schemi della politica.
Da oggi comincia un racconto che durerà poco più di un mese (nella peggiore delle ipotesi!)